Attenzione alla Cina: Israele e gli avvertimenti Usa
Uno dei più grandi progetti di infrastrutture in Israele, il nuovo porto di Haifa, dovrebbe entrare in funzione a partire dal Primo di settembre. Per realizzarlo ci sono voluti 15 anni e un investimento statale di 5 miliardi di Shekel (1 miliardo e 300milioni di euro). “L’apertura del porto rivoluzionerà l’intera economia” ha dichiarato con entusiasmo Yitzhak Blumenthal, CEO della Israel Ports Company. “Avrà un impatto enorme su tutti in Israele, dai produttori al consumatore. Ridurrà il costo della vita perché quasi tutti i prodotti, comprese le materie prime utilizzate dall’industria israeliana, passano attraverso i porti marittimi”. Per Blumenthal – e non solo – il nuovo porto di Haifa avrà dunque un grande effetto. Il problema dal punto di vista geopolitico è l’azienda che lo avrà in gestione: per i primi 25 anni infatti a tenere le redini sarà la cinese Shanghai International Port Group, un colosso del settore portuale. Un problema perché gli Stati Uniti da tempo spingono perché Israele rescinda il contratto e trovi un altro partner per Haifa. Le autorità americane, già nell’era Trump, hanno espresso più volte preoccupazione per il fatto che l’azienda cinese opererà vicino a dove attraccano le navi della sesta flotta statunitense e potrebbe potenzialmente svolgere attività di spionaggio. Una preoccupazione ereditata dall’amministrazione Biden, che sta seguendo la stessa linea nei confronti di Pechino: un forte contrasto a livello internazionale. Per la Casa Bianca la Cina rappresenta la principale minaccia alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti, oltre ad essere il più potente rivale geostrategico. Per questo Washington sta esortando gli alleati stranieri a seguirla nel braccio di ferro con Pechino. Ovviamente tra questi alleati c’è Israele.
Negli ultimi venti anni, evidenzia il ricercatore David Feith del Center for a New American Security, “investitori cinesi, le imprese statali e le aziende tecnologiche, come Huawei e Alibaba, hanno acquisito o investito in circa 463 aziende israeliane. Ogni grande università israeliana, come quelle negli Stati Uniti e in Europa, ha partnership con scuole e laboratori cinesi”. Le imprese cinesi, rileva il ricercatore, hanno costruito o gestiscono circa 4 miliardi di dollari di infrastrutture israeliane, tra cui la metropolitana leggera di Tel Aviv e il porto di Ashdod. Oltre al citato porto di Haifa. Nell’era Netanyahu i rapporti con la potenza orientale si sono rafforzati, creando per il piccolo Stato ebraico grandi opportunità. Ma non senza costi. La Cina ad esempio ha una collaborazione strettissima con l’Iran, la minaccia numero uno d’Israele. Inoltre nell’ultimo conflitto con Gaza, Pechino si è espressa duramente contro la reazione israeliana ai razzi di Hamas. Il rapporto dunque è complicato e l’amministrazione Biden punta ad allontanare Gerusalemme dall’influenza cinese. Il nuovo governo sembra voler prendere maggiormente le distanze, ma da Haifa in giù non sarà semplice fare a meno di una delle due più grandi potenze mondiali. “In passato abbiamo ricevuto molte meno indicazioni dal governo su come fare affari con la Cina”, spiegava di recente all’Economist un dirigente israeliano impegnato nel commercio tra i due paesi. “Ora le cose sono molto più chiare. Possono investire in settori come foodtech e fintech, ma non in cyber o sicurezza e non nelle infrastrutture”.