Celeste ed Elena, anime nere

Due donne si incontrano, dentro un carcere, nella Roma del dopoguerra: l’ebrea Celeste Di Porto, la famigerata Pantera nera responsabile dell’arresto di vari correligionari di ‘Piazza’ nei mesi dell’occupazione nazista. Una delatrice della più bieca specie, come ricorderanno anche i muri di Regina Coeli (tra le tante scritte, vi si leggerà: “Sono Anticoli Lazzaro, detto Bucefalo, pugilatore. Si non arivedo la famija mia è colpa de quella venduta de Celeste”).
E la tedesca Elena Hoehn, di nascita luterana, in prigione perché accusata di aver venduto alle SS tre ufficiali dei carabinieri. Al processo sarà assolta, ma sulla sua colpevolezza sembrano esserci ben pochi dubbi. Anime Nere (ed. Marsilio), scritto a quattro mani da Anna Foa e Lucetta Scaraffia, è la storia di questo incontro e dell’evoluzione che scaturirà nella vita di entrambe.
Delle molte ambiguità, inquietudini e zone d’ombra. E di una duplice conversione al cattolicesimo, nel solco della focolarina Chiara Lubich. Una delle tante persone della cui buona fede si servirono in modo cinico. Qualcosa del genere accadde infatti anche al vescovo Giuseppe Placido Nicolini di Assisi, uno che gli ebrei li aveva messi in salvo. E che per questo suo impegno disinteressato, al pari di altri coraggiosi preti che si erano spesi in quella causa, sarà poi fatto “Giusto tra le Nazioni”.
Una vicenda complessa e inquietante, in un’Italia del dopoguerra che appare fortemente compromessa. Anche a livello di giustizia. Soprattutto a livello di giustizia. Raccontano infatti le autrici: “Nella ricostruzione di questa vicenda abbiamo trovato molte lacune, molti buchi neri. Ne abbiamo colmati solo alcuni”. Per il resto, spiegano, “abbiamo dovuto misurarci con assenze documentarie che corrispondono a ciò che ha permesso ai giudici di assolvere Elena in base alle dichiarazioni non provate di uno sgherro italiano di Kappler”.
Assenze che parlano di un Paese poco intenzionato, già allora, a fare i conti con la propria storia. Quanto questo si ripercuota nel nostro presente è forse persino pleonastico ricordarlo su queste pagine. Per Alberto Cavaglion, che al volume ha dedicato un suo recente Ticketless, un libro, non a caso scritto da due donne, che squarcia il velo “costringendoci a entrare dentro una tragedia umana senza precedenti”.