Hamas in crisi di consensi a Gaza
cerca un nuovo scontro con Israele

È ancora in condizioni critiche il ventunenne Barel Hadaria Shmueli, agente della polizia di frontiera israeliana ferito nel fine settimana con un colpo di pistola ravvicinato sul confine con Gaza. “Non sta bene. Abbiamo bisogno di molte preghiere, sto chiedendo e supplicando la gente di pregare che il nostro Barel si rimetta in piedi, torni alla sua famiglia, alla vita”, il dolore espresso dalla madre, Nitza Shmueli, in un’intervista radiofonica. L’incidente che ha coinvolto il figlio (nell’immagine) è avvenuto in prossimità della recinzione di sicurezza con l’enclave palestinese, dove si stava svolgendo una manifestazione di Hamas. Un’iniziativa organizzata dal gruppo terroristico palestinese allo scopo riaccendere la tensione con Israele. Secondo i vertici della difesa, scrivono i media locali, il leader di Hamas Yahya Sinwar starebbe infatti pensando a una nuova escalation di violenze, dopo il conflitto di maggio. I terroristi, in calo di consensi a causa della costante crisi di Gaza, vorrebbero puntare sullo scontro con Israele per distogliere l’attenzione. Nel suo arsenale vi sarebbero ancora razzi a sufficienza per una nuova aggressione, come quella compiuta a maggio, con attacchi indiscriminati contro i civili israeliani.
Per il momento Hamas non ha rivendicato l’aggressione contro l’agente Shmueli, anzi avrebbe fatto sapere di non essere direttamente coinvolto con l’accaduto, ma la quantità di granate, di esplosivi e la pistola arrivate sul confine smentiscono questa tesi. Secondo un’indagine preliminare delle forze di sicurezza, segnala inoltre Haaretz, i palestinesi nei pressi della barriera di sicurezza hanno più volte cercato di rubare ai tiratori scelti israeliani le armi. “Si sono precipitati al cancello circondati dalle loro donne e dai loro bambini, e li hanno mandati avanti in modo che non potessimo sparare contro di loro”, ha spiegato al quotidiano una fonte delle forze di sicurezza, presente alla manifestazione. Una violenta provocazione a cui Israele ha poi risposto colpendo alcuni depositi di armi di Hamas.
Anche il vicino presidente egiziano Al Sisi, che di recente ha invitato il Primo ministro Naftali Bennett al Cairo, ha agito contro il movimento di Gaza, decidendo di chiudere il valico di Rafah dopo gli scontri in cui è rimasto ferito Shmueli. L’Egitto, che ha mediato tra Israele e Hamas, ha interesse a mantenere la calma nell’area. E con la chiusura del valico ha ricordato ai terroristi che non può basare il suo futuro solo sui soldi del Qatar (in questi giorni Israele ha dato il consenso al trasferimento di finanziamenti da Doha a Gaza), ma ha bisogno dell’aiuto del Cairo. Al Sisi, grazie al ruolo di mediatore a maggio, ha riconquistato una posizione centrale nell’area e, come ricorda Al Monitor, non ha intenzione di perderla con la violazione della tregua da parte palestinese.
Sul versante opposto, l’analista militare di Yedioth Ahronoth Ron Ben-Yishai sostiene che questo sia invece il momento propizio per una nuova e più grande operazione israeliana a Gaza via terra. “Israele ha ora l’opportunità di completare la sua missione di disarmare le fazioni palestinesi, compresa un’offensiva di terra. – scrive l’analista – Gli Stati Uniti, l’ONU e il resto del mondo occidentale non potrebbero obiettare a una tale mossa da parte di Israele dopo la colossale debacle che è il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan”. Un’operazione simile metterebbe però fine all’attuale governo, sostenuto dal partito arabo Raam, che ha già dichiarato che non sosterrebbe un’azione a Gaza. Sembra quindi una strada difficilmente praticabile, anche se in queste ore in Israele sta facendo un certo clamore la telefonata intercorsa tra Bennett e il padre dell’agente ferito. “Di chi hai paura? Di Abbas? Svegliati codardo, i nostri figli se ne vanno”, l’attacco dell’uomo al Premier, frutto della frustrazione e rabbia per le condizioni del figlio. Una rabbia che potrebbe trasformarsi in pressione da parte proprio dell’elettorato a cui Bennett risponde per un intervento duro contro Gaza. Un’opzione dunque, con tutte le sue conseguenze, da non escludere del tutto.