“Giudea e Samaria, qui per restare”

Insediamenti o colonie. Territori contesi o occupati. Giudea e Samaria, West Bank o Cisgiordania. I media internazionali parlano in continuazione, usando terminologie differenti, di questa minuscola parte di mondo la cui storia recente è iniziata del 1967: la celebre quanto fulminea guerra dei Sei giorni vinta da Israele contro i vicini arabi portò alla conquista di questa lingua di terra oggetto di scontri, violenze, collaborazioni, trattati di pace mai ultimati tra israeliani e palestinesi. Qui, in un’area poco più grossa della Liguria, vivono più di due milioni e mezzo di persone, di cui 400mila negli insediamenti israeliani. Questo consistente gruppo, iniziato a costituirsi cinquant’anni fa al di là della cosiddetta Linea Verde, spesso è raccontato dal mondo dell’informazione come se fosse un blocco omogeneo e indifferenziato. Ma non è così come spiega, attraverso la voce di chi negli insediamenti ha scelto di vivere, il libro Coloni del giornalista Pietro Frenquellucci. Da Elon Moreh a nord a Kiryat Arba a sud, uomini e donne raccontano cosa li ha spinti ad andare oltre leggi, ordini, sentenze, pressioni internazionali e costruire case, villaggi, città in Giudea e Samaria. “Di loro si parla, si discute, vengono fortemente criticati o sostenuti. scrive Frenquellucci introducendo il suo lavoro Sono coloro che, di fatto, secondo tanti, impediscono il raggiungimento della pace fra israeliani e palestinesi, fungendo, con i loro insediamenti, da vero ostacolo al progetto della realizzazione di due Stati, uno ebraico e l’altro palestinese. Sono spesso rappresentati come il male assoluto, l’anima nera intorno alla quale si chiudono tanti dei nodi che soffocano quella parte del mondo. È evidente che, al di là dei giudizi, la loro presenza è ormai un dato di fatto con cui fare i conti. Ma quali sono le motivazioni che li spingono a scegliere una vita comunque rischiosa? Sono un blocco unitario o sono mossi da ragioni e obiettivi diversi? Qual è il peso della componente religiosa ultraortodossa?”. Il libro cerca di far rispondere direttamente le persone coinvolte, evitando giudizi così come di contestare o sostenere le posizioni espresse. Quella che emerge è la chiara convinzione dei protagonisti che, nonostante tutto, loro rimarranno lì. C’è chi racconta come per sette volte l’insediamento sia stato sbaraccato dalle autorità israeliane su ordine tra gli altri di Yitzhak Rabin ma all’ottava è rimasto lì. La politica israeliana, anche quella contraria, alla fine non ha mai bloccato lo sviluppo degli insediamenti. Anche Peres, almeno inizialmente, ne aveva favorito la realizzazione per poi dirsi pentito. Uno dei più citati nelle interviste con Frenquellucci, annoverato tra i sostenitori, è invece Ariel Sharon: lo stesso che nel 2005 deciderà il ritiro unilaterale degli insediamenti israeliani dalla Striscia di Gaza.
Continui poi i richiami biblici. Dalla tomba di Giuseppe alla profezia di Geremia: “Pianterai ancora vigne sui monti di Samaria, e i piantatori ne raccoglieranno il frutto” (31, 5); dall’antica città di Shiloh, riferimento religioso degli israeliti prima della costruzione del Tempio a Gerusalemme, a Bethel – Casa di Dio -, il luogo dove Giacobbe fece il suo famoso sogno. Al giornalista i suoi interlocutori spiegano perché quella è tutta biblicamente Terra d’Israele.
Centrale è inoltre il tema della sicurezza. Gli attacchi terroristici hanno segnato profondamente le esistenze di chi vive a Efrat, Gush Etzion e così via. “Il punto deve essere l’accettazione dei palestinesi della nostra presenza oltre al fatto che Israele è lo Stato degli ebrei e che per gli ebrei ci deve essere la possibilità di immigrare liberamente in Israele dichiara Ariel Viterbo, che si è trasferito a Gush Etzion non per motivi ideologici, ma per l’offerta didattica per i figli Penso che se ci fosse da parte loro un’accettazione della rinuncia alla violenza e della nostra presenza qui la soluzione si troverebbe. Esattamente in quali termini giuridici e politici non lo so, però non è un problema”. Altri hanno alcune idee, dalle più radicali a quelle più moderate, su come comportarsi con i palestinesi. A interrompere il flusso ben argomentato di ragioni, rivendicazioni, giustificazioni arriva l’analisi del demografo Sergio Della Pergola. La sua intervista, così come quella all’ex vicesindaco di Gerusalemme David Cassuto, chiude il libro. “Non bisogna dimenticare – afferma con pragmatismo Della Pergola – che c’è una situazione non conclusa in merito alla sovranità su questi territori. Non è come stare a Be’er Sheva”. “Si può dire rileva il demografo che tutto quello che è stato investito per creare delle infrastrutture per i 400 mila che vivono in Giudea e Samaria non è stato investito per altri 400 mila che stanno altrove e ne avrebbero bisogno”. Dall’altro lato, aggiunge, non è credibile che quasi mezzo milione di persone venga sgomberato interamente. E così l’interrogativo sul loro destino rimane aperto. Almeno da fuori. “Siamo qui per restare”, è la dichiarazione al cuore delle diverse testimonianze. Leggerle, serve a comprendere il perché.

Daniel Reichel, Pagine Ebraiche Dicembre 2021