Pagine Ebraiche Gennaio 2022
La vocazione del rav Soloveitchik

Il primo tentativo in lingua italiana di un bilancio complessivo sulle opere scritte e sugli insegnamenti orali di un grande Maestro del Novecento. Si presenta così Antropologia halakhica. Saggi sul pensiero di Rav Joseph B. Soloveitchik (ed. Salomone Belforte), raccolta di saggi etico-filosofici e halakhico-politici a cura del professor Massimo Giuliani. L’autore, collaboratore da molti anni di Pagine Ebraiche, è professore di Pensiero ebraico all’università di Trento; di Cultura e religione ebraica all’università di Urbino, e di Filosofia ebraica presso il Diploma universitario in studi ebraici UCEI.

L’influenza di un maestro di Torà può essere valutata sia dal numero sia dalla qualità dei suoi studenti, anche se la sua importanza e l’originalità del suo pensiero non dipendono da questi numeri né da tale qualità. Nel caso di rav Joseph Dov Ber Ha-Levi Soloveitchik (Pruzhany, Bielorussia 1903-New York, NY 1993) questi due criteri si sommano, però, confermando il giudizio pressoché unanime da parte degli storici del giudaismo contemporaneo per i quali, anche grazie all’avere ordinato, in quanto responsabile della Yeshiva University, circa duemila rabbini ortodossi, Soloveitchik “ha costituito l’autorità (e non solo un’autorità) in materia di legge ebraica per la quasi totalità degli ebrei ortodossi nordamericani, persino per coloro che, da destra, oggi tendono a sminuire o denigrare il suo contributo”.
In quanto erede della grande tradizione rabbinica lituana il Rav, come era da tutti chiamato, è stato un halakhista di raffinata sottigliezza esegetica ed ermeneutica, anche se non un poseq [decisore halakhico] nel senso stretto del termine; al contempo fu un acuto filosofo della religione, che aveva lavato i panni nell’Arno della gnoseologia di Kant, del proto-esistenzialismo di Kierkegaard e dell’antropologia religiosa di Rudolf Otto.
La sua ambizione però era e restò sempre quella di essere un morè, un talmid chakham nella linea prestigiosa del padre Moshe e del nonno Chajjim di Brisk, di essere cioè uno studioso e un maestro di Torà capace di coniugare il rigore e la fedeltà alla verità (emet) di Moshe rabbenu con la compassione e l’inclinazione alla pietà (chesed) di Aron ha-kohen.
Lo storico Jonathan D. Sarna, della Brandeis University, ha tratteggiato con precisione la sua fisionomia intellettuale nel panorama dell’ondata immigratoria ortodossa giunta negli Stati Uniti tra gli anni Trenta e Quaranta del XX secolo. Scrive Sarna che Soloveitchik, arrivato oltre Atlantico con il padre nel 1932 dopo aver conseguito il dottorato in filosofia a Berlino, «rappresentò un’eccezione, rispetto agli altri grandi rabbini e saggi ortodossi, per il fatto di non aver cercato di ricreare in America il mondo della sua gioventù est-europea », il mondo degli shtetlach e delle yeshivot lituane.
A Boston, dove aveva scelto di vivere, Soloveitchik iniziò la sua attività professionale e vocazionale (nel senso del tedesco Beruf) di educatore, di maestro e di guida spirituale dell’ortodossia americana influenzandola in profondità almeno sino agli inizi degli anni Ottanta, allorquando – annota sempre Sarna – uno spostamento a destra dell’ebraismo ortodosso indebolì la cosiddetta modern orthodoxy, che ebbe proprio in Soloveitchik il suo punto di riferimento almeno fino al di lui pensionamento, avvenuto nel 1984.
Proprio cinquant’anni prima, nel 1934, egli era divenuto supervisore di una co-educational school, un doposcuola ortodosso frequentato da maschi e femmine, dalle elementari alle superiori, chiamato Yeshivat Torat Israel; nel 1937 aveva fondato un’innovativa scuola a tempo pieno, anch’essa co-educational, intitolata a Maimonide; e nel 1939, in partnership con lo Yeshiva College di New York (poi chiamato Yeshiva University, istituto nel quale il padre presiedeva l’Isaac Elchanan Theological Seminary) aveva creato sempre a Boston una yeshivà per immigrati europei chiamata Hechal Rabbenu Hayyim HaLevi, che ebbe vita breve.
Alla morte del padre, nel 1941, Joseph Soloveitchik gli succedette come senior Talmudic scholar allo Yeshiva College divenendo ben presto la massima autorità per i modern orthodox Jews negli Usa. Allorquando nel 1959 nello stato di Israele morì Isaac Herzog, in luce del suo prestigio personale e dell’aperto sostegno alla causa del sionismo religioso, gli fu offerta la carica di rabbino capo ashkenazita di Israele, ma il Rav declinò l’offerta e rimase negli Stati Uniti, pago di illuminare le menti attraverso i shi‘urim ovvero le lezioni talmudiche tenute regolarmente ai membri del Rabbinical Council of America e agli studenti della Yeshiva University.
Sebbene da circa due decenni sia in corso la pubblicazione di tutte le sue lezioni e dei corsi annuali (diligentemente stenografati dai suoi studenti), l’oralità è stata il marchio dell’insegnamento di Soloveitchik.
Ma anche i pochi testi scritti in ebraico e in inglese ed editi sotto il suo diretto controllo, anche a prescindere dalle molte lezioni e conferenze raccolte postume, confermano l’originalità e la forza del suo pensiero e spiegano la profonda influenza che il Rav esercitò sull’ortodossia ebraica contemporanea.

Massimo Giuliani