Israele, dieci tappe
per capirne l’evoluzione

“Esistono immagini contrapposte, che si osservano vicendevolmente ma in una sorta di specularità inversa: c’è l’Israele del bene e quella del male. Ovvero, c’è un paese che si racconta, che si interroga, che costruisce una successione di rappresentazioni di sé, non importa quanto aderenti fino in fondo alla realtà poiché comunque tutte rispondenti all’imperativo di trovare delle chiavi di lettura condivise. Così come c’è una raffigurazione demonizzante, fondata sullo ‘scandalo’ dell’esistenza di Israele, un paese che non doveva nascere e che quindi porta su se stesso il marchio indelebile dell’abusivismo storico, che gli deriva dal non avere alcuna legittimazione, basandosi semmai sulla sistematica espropriazione della comunità palestinese. Due estremi, due capi opposti di un medesimo discorso che srotola e poi ricompone la stessa trama, quella che ha come indice la domanda di identità e di significati esistenziali che attraversa prima l’ebraismo e poi il paese degli ebrei: chi siamo, perché esistiamo e cosa significa essere qui e ora?”. È un’analisi equilibrata e non scontata quella che lo storico Claudio Vercelli pone all’inizio di uno dei capitoli del suo ultimo libro, Israele una storia in 10 quadri (Laterza), dal 3 febbraio in libreria. Il capitolo si intitola “Immaginare Israele: raccontarsi ed essere raccontati” e coglie con precisione l’importanza della narrazione attorno all’identità dello Stato ebraico, al suo ruolo nel mondo, al suo divenire. Vercelli ricorda al lettore, sin dalle battute iniziali del libro, quanto il racconto sia strettamente legato all’immagine del paese, alla sua storia e alla tradizione ebraica.
Non a caso il saggio si apre con un richiamo alla Genesi: “Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto”. In questo caso non si parla evidentemente di terra né di stati, ma il richiamo all’origine biblica del termine Israele ci ricorda quanto indietro è necessario andare per comprendere parte della narrazione legata allo Stato degli ebrei. “Nel libro dell’Esodo, i figli di Giacobbe, così come i loro discendenti, sono chiamati ‘figli d’Israele’. – ricorda Vercelli – La tradizione testuale, e poi conversativa, ricorre ripetutamente al lemma, consolidandone in tal modo il ricorso. L’uso abituale sovrappone la dimensione materiale (la terra, una collettività) a quella ideale (la dimensione spirituale, la coesione di un gruppo). Dall’incontro tra queste due accezioni deriva una tradizione sospesa tra mitografia e storia”. La mitografia, evidenzia lo storico, ritorna alle radici per spiegare il presente, per mostrare, in senso religioso o laico, l’esistenza di un disegno da realizzare. La storia è invece meno lineare e offre spunti critici per guardare al percorso di formazione, in questo caso, d’Israele.
Questa dialettica continua tra immaginazione e realtà ritorna in modo costante all’interno del volume, che rappresenta un viaggio a tappe per comprendere alcuni passaggi fondamentali della costruzione dello Stato ebraico, della sua geografia, del conflitto con i palestinesi. Nella premessa iniziale Vercelli mette in guardia dal pericolo di mitizzare il paese e la sua storia, rischiando di non comprenderne le tante sfumature. Dall’altro non dimentica come sia ben presente la minaccia portata da chi cerca con ostinazione di delegittimarne l’esistenza, con uno dei quadri dedicato ad antisemitismo e antisionismo. Israele, spiega lo storico, è un paese del quale molto si parla, facendo “il più delle volte un’esperienza scarsa se non nulla degli eventi concreti. Un nulla che viene coperto da stereotipi, luoghi comuni, apologie acritiche o, più spesso, insensate demonizzazioni. Non si tratta di smitizzare o di eroicizzare alcunché. Dell’una come dell’altra cosa già molti si occupano. Semmai il problema, soprattutto dinanzi all’irrisolto conflitto che divide gli israeliani dai palestinesi, è di comprendere quali siano i nodi critici dell’una come dell’altra parte. In queste pagine ci si occupa, per l’appunto, di Israele e degli israeliani. Ovvero, di alcuni dei temi di fondo che, attraversando una nazione, si riflettono sui modi in cui pensa se stessa e si presenta, quindi, dinanzi al resto del mondo. Non di altro. Si tratta di questioni che richiamano interrogativi, non affermazioni di principio”. L’invito dello storico è a leggere il suo ultimo saggio e aprire un dialogo sul ruolo di Israele, senza nasconderne le problematiche o, peggio ancora, con la condanna a portata di mano.

Pagine Ebraiche, Febbraio 2022