Gerusalemme, la maratona
di Valentyna
“Dedico la vittoria al popolo ucraino”

Un grido impetuoso copre ogni altro rumore, anche la musica e il boato degli altoparlanti. È “Slavia Ukraini”, il “gloria all’Ucraina” oggi di casa anche a Gerusalemme. L’ultimo incoraggiamento di uno spettatore prima che Valentyna Kiliarska (Veretska) si presenti sul traguardo della maratona per ancora pochi metri di fatica e sudore. Tra le mani tiene due bandiere: quella dell’Ucraina, il suo Paese sotto attacco, dal quale è fuggita insieme alla figlia di undici anni (la sua casa è stata distrutta dai russi); e quella d’Israele, che l’ha voluta come testimonial della corsa. Il fatto che Kiliarska abbia partecipato è già di per sé significativo. Ma che addirittura sia riuscita a vincerla, senza alcuna preparazione specifica e con la mente attraversata da chissà quali traumi e pensieri, ha un che di miracoloso. Eppure è appena successo. Ma non è un caso.

“Noi ucraini siamo gente che non si arrende e io sono qui per dimostrarlo”, aveva detto incontrando Pagine Ebraiche alla vigilia. Parole che ha trasformato in un risultato destinato a restare nella memoria e negli annali: l’undicesima edizione della maratona, una delle più affascinanti al mondo per lo sfondo urbano unico nel suo genere che la caratterizza, è sua. Nessuno le potrà togliere questa gioia immensa, bagnata anche da qualche lacrima di commozione.

La grazia con cui l’atleta nativa di Mykolaiv si è presentata all’arrivo è il riflesso di una forza d’animo non comune ma pienamente rappresentativa dell’identità di un popolo che, ribadisce a chi le viene incontro per le prime domande, “non ha nelle sue corde l’idea di arrendersi, di rinunciare a quello che ha scelto di essere e conquistato”.
Poco più di due ore e 45 minuti per concludere una corsa funestata da condizioni climatiche avverse, dalla pioggia al freddo intenso che non hanno comunque scoraggiato la gran parte degli oltre ventimila iscritti al via (tra cui ragazze e ragazzi di Shalva, centro per giovani con disabilità che è un’eccellenza assoluta nel suo campo).
“Cercherò di migliorarmi in futuro, di abbassare un po’ il tempo”, sorride lei senza mostrare segni apparenti di fatica. “Magari l’anno prossimo, quando vorrei tornare a Gerusalemme non più sola ma in compagnia di mio marito. È lui ad allenarmi, è il mio coach. In questo momento però sta combattendo”.

In tanti oggi hanno corso idealmente al suo fianco, sventolando bandiere e indossando magliette con i colori giallo e blu. Ma è stata tutta la città a stringersi a lei, a partire dal sindaco Moshe Lion che ieri sera l’ha salutata con tutti gli onori alla Torre di Davide e oggi l’ha riabbracciata alla partenza.
Valentyna si emoziona: questa maratona, spiega, “è come se avesse riacceso una luce: la dedico all’Ucraina, a chi sta soffrendo, ai miei familiari: spero di averli resi fieri”.