Il governo d’Israele senza maggioranza,
i possibili scenari di questa crisi

Destra nazional-religiosa, destra nazionalista laica, centristi, sinistra, musulmani ultraconservatori. Il governo israeliano è nato nel giugno 2021 grazie a un fragile compromesso tra partiti ideologicamente molto distanti. Una convivenza difficile, con la coalizione costantemente a rischio di defezioni. Ne bastava una per perdere la maggioranza dentro alla Knesset: 61 seggi su 120 totali non erano chiaramente garanzia di stabilità. Eppure, con un solo voto a disposizione, il governo di Gerusalemme è riuscito a portare a casa alcuni successi importanti. Su tutti il più complicato: l’approvazione, dopo tre anni e mezzo di assenza, di un nuovo Bilancio dello Stato per il 2021 e il 2022. Il via libera, arrivato nel novembre scorso, sembrava aver ricompattato la coalizione e posto le basi per un 2022 stabile. E invece la defezione è arrivata nelle scorse ore, gettando nuovamente scompiglio nella politica israeliana. Ad abbandonare la nave è stata Idit Silman, presidente della coalizione e parlamentare del partito Yamina. Lo ha annunciato nelle scorse ore, cogliendo in contropiede il leader del suo partito, il Premier Naftali Bennett.
Secondo i media israeliani, Silman ha preso la sua decisione dopo aver trovato un accordo con il Likud dell’ex Premier Benjamin Netanyahu. Il partito, attualmente alla guida dell’opposizione, le ha garantito il decimo posto nella lista dei candidati per la Knesset alle prossime elezioni e il ruolo, in caso di vittoria di Netanyahu, di ministro della Salute. Proprio uno scontro con l’attuale ministro Nitzan Horowitz avrebbe portato Silman al definitivo abbandono. In settimana Horowitz, del partito Meretz, ha incaricato i funzionari del suo ministero di dare seguito a una sentenza della Corte Suprema per permettere ai pazienti di portare pane lievitato negli ospedali durante la prossima festa ebraica di Pesach. Silman si è opposta alla misura perché in contrasto con la Legge ebraica. Una rottura che sembrava ricomponibile visto che, ricorda Anshel Pfeffer di Haaretz, “la sentenza ha più di un anno ed era già in vigore lo scorso Pesach, quando Netanyahu era ancora in carica”. E invece è stata scelta da Silman come motivo per andare via e aprire una crisi nel governo guidato da Bennett e dall’alleato centrista Yair Lapid. Il crollo dell’esecutivo sembra prossimo, ma non è così scontato che avvenga subito, sottolineano gli analisti. Anche perché l’opposizione è lontana dall’avere i numeri per formare un governo alternativo. Netanyahu, che ha applaudito la scelta di Silman, ha bisogno di altre sette defezioni per poter avere la maggioranza alla Knesset. Convincere così tante persone non sarà semplice.
Alternativa più probabile, il ritorno alle urne. A votarla – con la dissoluzione dell’attuale Knesset – dovranno essere 61 parlamentari. All’opposizione basta quindi un voto per raggiungere il quorum. “Ma molti membri della Knesset potrebbero evitare di tenere elezioni anticipate, per paura di porre fine al proprio percorso politico. – spiega l’emittente Kan – Inoltre, nelle ultime quattro campagne elettorali, il blocco che sostiene Netanyahu non ha ottenuto la maggioranza, e non c’è alcuna garanzia qualcosa cambi nelle prossime elezioni”.
Il parlamento rimarrà in ogni caso in pausa per altre cinque settimane, quindi non ci sarà un voto di sfiducia nel governo nel prossimo futuro. Ma una volta ripartiti i lavori, l’esecutivo di Bennett e Lapid “non sarà in grado di approvare leggi senza il sostegno dei legislatori dell’opposizione e questo – evidenzia il New York Times – potrebbe incoraggiare altri membri scontenti della coalizione ad annunciare le loro dimissioni”.
Secondo il Jerusalem Post tra i possibili dimissionari c’è l’attuale ministro della Difesa Benny Gantz e il suo partito Kahol Lavan, con l’opzione aperta a quest’ultimo di unirsi all’opposizione e diventare il nuovo Premier. “Gantz sin dall’inizio era insoddisfatto dell’attuale governo. – scrive il quotidiano – Era particolarmente infastidito dal fatto che Bennett, allora con sei seggi e ora con cinque, sia diventato Primo ministro” e non lui con i suoi otto seggi. Inoltre, Gantz potrebbe preferire questa opzione per evitare di vedere Lapid diventare primo ministro. Secondo infatti un’accordo di coalizione, in caso di caduta del governo, a prendere le redini fino a nuove elezioni sarebbe il leader di Yesh Atid, che aumenterebbe così il proprio prestigio e la propria visibilità. Cosa che Gantz, ma anche il partito laburista preferirebbe evitare considerando che il bacino di voti è molto simile. L’attuale ministro della difesa, scrive Pfeffer, dovrebbe fare un grande lavoro di ingegneria politica e cercare di mettere insieme una parte dell’attuale coalizione con una parte dell’opposizione. Su questo versante dovrebbe riuscire a convincere i partiti religiosi ad entrare, promettendo l’estromissione della destra laica guidata da Avigdor Lieberman, attuale ministro dell’Economia.
Altra opzione, un candidato del Likud, il principale partito oggi alla Knesset, che non sia Netanyahu. Questo potrebbe aprire la porta a un accordo con i partiti di centro e di destra che hanno giurato di non sedere in un governo a guida Netanyahu. Ma nessuna analisi sembra considerare verosimile che l’ex Premier si faccia da parte.
“Per ora lo scenario più probabile – scrive Pfeffer – è un ritorno alla situazione che esisteva per gran parte del 2019-21, quando il governo era paralizzato, senza la maggioranza per legiferare e con nuove elezioni sempre incombenti. Proprio come Netanyahu durante quel periodo, Bennett è ora in carica, ma non al potere”.

dr