L’odio dopo la pandemia

L’uomo è steso a terra, scomposto come una bambola di pezza, mentre il fuoco ruggisce oltre la vetrina nella bottega portandosi via pagine di vecchi libri e foto color seppia. Il nuovo libro di Tullio Avoledo, Come navi nella notte, s’inoltra fin dalle prime righe nel letale intreccio fra passato e futuro che contrassegna questo thriller intricato, avvincente e ricco di colpi di scena. Il protagonista è Marco Ferrari, un ex poliziotto che per aver creduto nella giustizia ha dovuto lasciare l’Italia e si è trasferito in Germania, dove vive nel quartiere hippy di Friburgo e scrive gialli di successo ambientati a Venezia. A riportarlo indietro, è la casa del mare in cui ha trascorso le estati dell’infanzia che deve mettere in vendita. Da Friburgo a Sabbie Dorate, una località immaginaria del Friuli che ricorda molto da vicino Lignano, il viaggio dell’uomo a bordo di una Tesla che sembra “una stramaledetta capsula spaziale” si snoda nella realtà distopica della post-pandemia – la Situazione, come la definisce Avoledo.
L’Italia raccontata dallo scrittore friulano, già autore di L’elenco telefonico di Atlantide e Nero come la notte, è cupa, brutale e la penetrazione – ormai non più solo economica – della Cina presenta i tratti dell’assoggettamento. L’autostrada è vuota e silenziosa perché i camion sono stati sostituiti da treni che sfrecciano superveloci lungo la pianura, i sistemi di pagamento sono sempre più sofisticati, i controlli stringenti e gli speculatori onnipresenti. E’ un mondo di sapore orwelliano, “anche se – scrive Avoledo – Orwell non se lo fila più nessuno”.
I veleni della Storia presentano il conto nel modo più inaspettato, quando a Sabbie Dorate Marco Ferrari assiste al rapimento di un anziano su una delle webcam che ormai punteggiano il paesaggio. L’uomo è un vecchio professore russo, Ivan Souvorin, autore di una dozzina di pubblicazioni accademiche in cui sostiene che i campi di sterminio non sono mai esistite. E’ stato dichiarato persona non grata in una decina di paesi ma i suoi video spopolano online e i discepoli abbondano.
Da Sabbie Dorate la storia si sposta con rapidità a Trieste, crogiolo di culture e intrighi nazionali, bellissima ed enigmatica, descritta in costante oscillazione fra realtà e fiction – non la città più anziana d’Italia fotografata dalle statistiche ma un microcosmo popolato di giovani e pulsante di vitalità in cui l’infiltrazione dei cinesi dalle botteghe del Borgo Teresiano si è spinta ormai ai massimi livelli delle istituzioni. L’ex poliziotto si trova così coinvolto in uno slalom mortale fra misteriosi antiquari, politici corrotti e agenti nazisti. A scandire l’azione, un inquietante ballo in maschera che nel magnifico Salone degli Incanti affacciato sul mare richiama graziose debuttanti, personaggi oscuri e insospettabili. Al suo fianco in quest’indagine sorprendente, in cui l’odio allunga le sue mani nel futuro e nessuno è al sicuro, una bellissima veterinaria ebrea di nome Miriam. Sono pagine che giocano sul contrasto fra un mondo lucente, futuribile, sofisticato e la violenza secolare del pregiudizio. Il libro è stato scritto durante la pandemia, quando il futuro era ancora tutto da immaginarie. “In Come navi nella notte – spiega l’autore – racconto un mondo che non si è ancora avverato, ma di cui temo l’avvento. Immaginarlo e descriverlo è stato al tempo stesso un atto terapeutico e un esorcismo”. In fondo, lascia intendere mentre nel libro il protagonista ricorda una conversazione con un altro autore, la progressione del tempo e della Storia ha qualcosa di illusorio.
“A tavola, tra una portata e l’altra, a mano a mano che il tasso alcolico saliva – lo scrittore mi aveva esposto la sua teoria, secondo cui il tempo non era lineare ma piuttosto simile a un gomitolo di passato, presente e futuro. Tutto, diceva, è avviluppato in questa matassa temporale, per cui tempi lontani se li consideri in una prospettiva lineare sono in realtà vicini, sovrapposti come gli strati di una cipolla”.
L’uomo che le prime pagine descrivono scaraventato a terra dall’esplosione che devasta la bottega è il protagonista Marco Ferrari. In quello scenario di guerra, ricorda gli oggetti in mostra ed è il catalogo dolente di un mondo che brucia nell’odio. “Le mappe delle città, le carte navali, i ninnoli esposti nelle vetrine. I cucchiaini d’argento, le tazzine decorate, i bicchieri del seder. I lampadari. I libri – antichi o semplicemente vecchi –, le riviste, le foto che ritraggono famiglie sconosciute, i dischi a 78 giri nelle loro buste di carta velina. Per la fiamma, ogni cosa è soltanto un combustibile”.

Daniela Gross, Pagine Ebraiche Maggio 2022