Israele e l’interruzione di gravidanza
“Nuove leggi a tutela delle donne”

“Una donna ha il pieno diritto sul proprio corpo. La decisione della Corte Suprema americana di negare il diritto di una donna di scegliere sul proprio corpo è un triste processo di repressione delle donne, che riporta il riferimento del mondo libero e liberale indietro di cento anni”. Sono le parole con cui l’attuale ministro della Sanità d’Israele Nitzan Horowitz ha commentato la recente sentenza della Corte suprema degli Stati Uniti che ha eliminato il diritto all’aborto a livello federale. Una decisione che ha aperto discussioni e confronti a livello internazionale e che in Israele si è intrecciata con una riforma normativa dedicata proprio all’interruzione volontaria di gravidanza.
La riforma, che entrerà in vigore tra tre mesi, rende meno rigide alcune procedure a riguardo.
In Israele le donne che vogliono abortire entro la dodicesima settimana devono ricevere l’approvazione di una commissione ad hoc, formata da due medici e un assistente sociale. La commissione determina se la richiesta soddisfa i criteri legali per procedere con l’interruzione. In particolare si fa riferimento a cinque casi: se si ha meno di 18 anni – non è richiesto il consenso dei genitori – o se si ha più di quarant’anni. Se la gravidanza è il risultato di un rapporto sessuale illegale, come uno stupro o un incesto. Se la gravidanza potrebbe mettere in pericolo la vita della donna o causare danni fisici o psicologici. Se la donna non è sposata o è rimasta incinta al di fuori del matrimonio. Se il feto potrebbe avere un difetto fisico o mentale.
Fino all’attuale riforma – la legge sull’aborto in Israele risale al 1977 – chi faceva richiesta doveva comparire fisicamente davanti alla commissione prima di essere autorizzata a interrompere la gravidanza. Una procedura considerata “completamente umiliante e non necessaria”, scrive Israel Hayom. Un giudizio che era stato messo nero su bianco nel 2016 da un rapporto del Controllore dello Stato, che aveva chiesto una riforma. Ora, con il nuovo provvedimento, l’obbligo decade.
Come non sarà più necessario incontrare un assistente sociale, ma sarà un servizio a disposizione delle donne che ne fanno richiesta.
Per i casi di interruzione della gravidanza per via farmacologica non sarà più obbligatorio recarsi in ospedale, ma si potrà andare nelle strutture sanitarie pubbliche delle casse mutue.
Altri cambiamenti includono la revisione del modulo richiesto prima di presentarsi davanti alla commissione e la rimozione di domande ritenute troppo delicate e inappropriate. Il questionario sarà inoltre compilabile online.
“La riforma che abbiamo approvato – ha dichiarato Horowitz dopo l’approvazione – creerà un processo più semplice, più rispettoso, più avanzato e che mantiene il diritto della donna di prendere decisioni sul proprio corpo. Un diritto umano fondamentale”.
In un articolo di Haaretz si riferisce che nel 2020 nel 94 per cento dei casi i comitati – di cui diverse organizzazioni chiedono la completa abolizione – hanno dato il proprio assenso alla procedura. “I dati – rileva poi il quotidiano – mostrano anche che negli ultimi 30 anni c’è stata una diminuzione del numero di aborti eseguiti ogni anno, in relazione alla dimensione della popolazione”.