Uri Orlev (1931-2022)
A Pagine Ebraiche lo scrittore israeliano Uri Orlev raccontò di aver sempre amato Robinson Crusoe. “Anch’io volevo scrivere un mio racconto di avventure. Solo che il contesto in cui ambientarlo era molto diverso: la miseria del ghetto, gli ebrei deportati e la tristezza della solitudine”. Un libro di fantasia dove poter racchiudere la propria storia vera di orfano sopravvissuto alla Shoah. Dove richiamare quel passato di giovanissimo ebreo polacco a cui i nazisti a Varsavia rubarono l’infanzia e i genitori. Così nel 1981, trentasei anni dopo essere stato liberato assieme al fratello dal lager di Bergen-Belsen, ormai diventato in Israele uno scrittore per ragazzi di grande successo, Orlev scrisse L’isola in via degli uccelli. Un capolavoro, ancora oggi usato nelle scuole. “Pensare – ricorderà ancora Orlev a Pagine Ebraiche – che ho impiegato una settimana a completarlo. Ero solo a casa perché mia moglie e i miei figli erano via e così lavorai quasi ininterrottamente. Era da un paio d’anni che creavo la storia mentalmente, era come se stessi girando un film di cui ero il protagonista, con emozioni vere. Così alla fine riportai tutto quanto sulla carta”.
La sua scrittura, celebrata con il prestigioso premio Andersen, ha accompagnato generazioni di israeliani e non. E continuerà a farlo ora che, all’età di 92 anni, Orlev è morto. “Oggi lo Stato di Israele ha perso uno dei più grandi scrittori per bambini e ragazzi, Uri Orlev, che ha scritto più di 40 libri durante la sua vita. – il ricordo del Primo ministro Yair Lapid – I nostri figli sono cresciuti con questi libri. I ricordi di Uri sulla Shoah e su Israele hanno insegnato loro la nostra storia. Uri è morto, ma i suoi libri e la sua eredità rimarranno qui con noi per sempre”.
Uri Orlev: “Semplicemente scrivere”
“Io non do definizioni di ciò che faccio – taglia corto il celebre scrittore per ragazzi Uri Orlev – Semplicemente scrivo, non mi metto a ragionare. Io racconto storie, è questo ciò che so fare”. Niente domande sul significato dell’ironia nei suoi libri, dunque, e nemmeno sul loro possibile fine educativo. “Temo di non poter rispondere come lei vorrebbe” spiega serenamente e, dopo qualche attimo, aggiunge “però posso parlare di come ho scritto i miei libri”. E inizia a raccontare aneddoti, momenti di vita, immagini di luoghi e persone. “Quando ho scritto L’isola in via degli uccelli – libro che racconta l’avventura di Alex, dodicenne ebreo polacco che durante la guerra si rifugia in un edificio diroccato nel ghetto di Varsavia e, assieme al topolino Neve, riesce a scampare alla deportazione – ho cercato di ricordare con gli occhi di bambino come era il ghetto, di ripercorrere la solitudine e la tristezza di quegli edifici, gradualmente svuotati dai nazisti”. Molto della sua opera più famosa (premio Andersen nel 1996) non è che il racconto autobiografico dell’infanzia dell’autore.
Nato a Varsavia nel 1931 sotto il nome di Jerzy Henryk Orlowski, con lo scoppio della Guerra Orlev e suo fratello rimangono orfani: la madre viene uccisa dai nazisti, il padre, ufficiale dell’esercito polacco, è catturato sul fronte russo. I due giovani trovano rifugio presso alcune famiglie polacche, ma nel 1943 sono catturati e deportati a Bergen-Belsen, dove rimarranno fino alla liberazione del campo dell’aprile del 1945.
“L’esperienza di Uri Orlev come un ragazzo ebreo in una Polonia devastata dalla guerra è il bagaglio culturale di questo eccezionale scrittore per i bambini – scriveva la giuria del prestigioso premio Andersen – Che le sue storie siano legate al ghetto di Varsavia o al suo nuovo Paese, Israele, egli non perde mai la prospettiva del bambino che era. Scrive a un alto livello letterario, con integrità e umorismo, in un modo mai sentimentale, esibendo la capacità di dire molto in poche parole. Uri Orlev mostra come i bambini possano sopravvivere senza amarezza in tempi duri e terribili”.
Speranza, il bene che vince sul male, ottimismo: Orlev riproduce nelle sue opere uno spirito che lo accompagna nella quotidianità. “E perché non dovrei essere ottimista? – chiede stupito – ho una moglie, figli e nipoti splendidi, faccio un lavoro che mi piace”. Sul perché la scelta di scrivere per i più giovani, la risposta è quasi scontata, orleviana. “È successo e basta. In realtà i primi due libri che ho scritto erano per adulti, avevo ventidue anni e vivevo in un kibbutz. Non volevo lavorare i campi, volevo scrivere. Presi un anno sabbatico per scrivere la mia prima opera, non in polacco, in ebraico”. Il primo editore, però, non la pubblica. “Così mi diressi verso un’altra casa editrice. Ricordo di essere entrato in un ufficio semivuoto. Al centro una scrivania con un uomo dall’aria indaffarata. Era Avraham Shlonsky. Dopo un paio di mesi il mio libro fu pubblicato”. I veri successi però arriveranno con i libri per ragazzi, oltre una trentina, di cui vari tradotti in decine di Paesi del mondo. A racconti del mondo reale si affiancano storie immaginarie, al centro l’amore per la vita e la capacità di superare gli ostacoli. Per la battuta finale Orlev riserva una notizia felice. Non ci sono di mezzo libri o racconti, ma la gioia per un nuovo arrivo. “È nato il mio ultimo nipotino!”.
dr, Dossier Leggere per crescere, Pagine Ebraiche