Israele verso il voto, tra alleanze
e possibili scenari elettorali

Mentre in Italia le liste e gli accordi elettorali sono ormai decisi, in Israele la situazione è ancora in via di definizione. Qui i partiti hanno tempo fino al 15 settembre per presentare le liste e per scegliere se correre da soli o formare alleanze in vista del voto del Primo novembre. Su entrambi i fronti politici ci sono ancora porte aperte ad eventuali accordi, che potrebbero fare la differenza sulla possibilità di entrare o meno alla Knesset. È il caso ad esempio, a sinistra, di Meretz e il partito laburista. I primi nelle scorse ventiquattro ore hanno ridefinito la propria leadership, riportando al vertice Zehava Galon. Dopo essersi presa una pausa dalla politica, Galon è tornata e ha stravinto le primarie. Il 60 per cento dei 20mila votanti di Meretz ha scelto lei, mentre al secondo posto si è posizionato (con il 20 per cento delle preferenze) Yair Golan, attuale viceministro dell’Economia e dell’Industria. I due hanno avuto uno scontro acceso per la leadership: Golan, ex capo di Stato maggiore, ha accusato Galon di rappresentare un partito “chiuso, elitario e dal volto acito, centrato su Tel Aviv”. A parti inverse, l’ex generale è stato paragonato nello stile a Itamar Ben-Gvir, volto dell’estrema destra israeliana. Ora però i due dovranno abbandonare lo scontro e lavorare per garantire a Meretz un posto in parlamento. Come in passato infatti il partito rischia di non superare la soglia di sbarramento del 3,25 per cento. Per questo si è tornati a parlare di un possibile accordo con i laburisti, guidati da un’altra donna: Meirav Michaeli, attuale ministro dei Trasporti. La sua leadership è solida. Alle primarie di luglio ha ottenuto un plebiscito, con oltre l’80 per cento di preferenze. Ma la forza interna non equivale a un consenso a livello nazionale: il partito che fu di Ben Gurion, oggi per i sondaggi si attesta tra i cinque, massimo sei seggi. Un’alleanza con Meretz (che balla sugli stessi numeri) potrebbe rafforzarlo, ma Michaeli sembra intenzionata a correre da sola.
Ad accarezzare la stessa idea sarebbero, sul fronte opposto, i partiti di estrema destra Sionismo religioso e Otzma Yehudit, guidati rispettivamente da Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir. Secondo alcuni sondaggi, i due riuscirebbero a passare la soglia divisi. Ma è un’opzione che il leader del Likud Benjamin Netanyahu contrasta apertamente. “Abbiamo tutti un obiettivo comune: formare un governo nazionale forte e stabile per i prossimi quattro anni”, ha dichiarato Netanyahu. “A tal fine, dobbiamo innanzitutto unire le forze, non dividerle. Ecco perché invito il Partito del Sionismo Religioso e Otzma Yehudit a correre insieme. Non possiamo rischiare. – la valutazione dell’ex Premier – Solo una corsa congiunta garantirà con certezza che i due partiti superino la soglia elettorale”. Netanyahu intanto continua ad essere l’uomo da battere. Le primarie al Likud (Ottantamila votanti) hanno consolidato ulteriormente la sua posizione interna: i suoi fedelissimi hanno ottenuto le posizioni migliori in lista, mentre chi ha cercato di sfidarlo è stato relegato in fondo. Tra questi, l’ex ministro Yisrael Katz, l’ex presidente della Knesset Yuli Edelstein e l’ex sindaco di Gerusalemme Nir Barkat. Tutti rimasti dietro a volti molto meno noti a livello nazionale.
Secondo le proiezioni, il Likud rimane stabilmente il primo partito con 34 seggi. Un dato confortante per Netanyahu, che però deve fare i conti con altri sondaggi. Quelli che prevedono che il suo blocco non otterrà la maggioranza: al momento infatti sembra che Likud e alleati – i partiti religiosi Shas e Yahadut HaTorah assieme a Smotrich e Ben Gvir – si fermeranno a 59 seggi. Nello specifico, così le proiezioni del Canale 12: Likud 34 seggi; Yesh Atid 23; Unità Nazionale 13; Otzma Yehudit 9; Shas 8; Yahadut HaTora 7; Meretz 6; Yisrael Beytenu 5; Labor 5; Lista araba unita 5 e Raam 5.
In questo quadro gli analisti danno due opzioni che potrebbero scardinare l’equilibrio. Una prevede la scelta del partito Unità nazionale – guidato dall’attuale ministro della Difesa Benny Gantz e fresco dell’acquisto dell’ultimo capo di Stato maggiore Gadi Eizenkot – di sostenere un governo Netanyahu. L’altra, una decisione dei partiti religiosi di abbandonare l’ormai consolidata unione con Netanyahu e facilitare la nascita di un nuovo blocco a guida Gantz.