Confini marittimi tra Israele e Libano,
un’intesa per garantire stabilità

Un accordo che garantirà ulteriore stabilità al Medio Oriente e soprattutto “rafforzerà la sicurezza e l’economia di Israele”. Questa la sintesi del Primo ministro israeliano Yair Lapid rispetto alla possibile intesa con il Libano per risolvere la prolungata disputa sui rispettivi confini marittimi. I governi di Gerusalemme e Beirut da due anni sono impegnati in una complicata trattativa, mediata dagli Stati Uniti, sulla questione che tocca il confine delle reciproche zone economiche esclusive. Ovvero, le aree di mare in cui ciascun paese ha il diritto esclusivo allo sfruttamento economico delle risorse marine. In questo caso, si parla dello sfruttamento di alcuni giacimenti offshore, scoperti dieci anni fa e da allora al centro della disputa. Dalla bozza, presentata alle parti dall’inviato statunitense Amos Hochstein, risulterebbe un compromesso tra le rispettive rivendicazioni. In particolare il Libano dovrebbe rinunciare alle pretese sul giacimento Karish, su cui Israele, carte alla mano, ha ribadito di avere completa sovranità. Dall’altro lato, Israele andrebbe ad accettare che il giacimento di gas di Qana – di cui non si conosce ancora il valore – rimanga per lo più nelle acque economiche del Libano. In cambio, raccontano i media locali, Gerusalemme otterrebbe come risarcimento una parte dei proventi, (qualora il giacimento si riveli economicamente redditizio) dalla compagnia di trivellazione francese che estrarrà il gas. “Israele perderà quindi parte del potenziale reddito del giacimento di Qana, ma guadagnerà in sicurezza”, scrive l’analista militare di Yedioth Ahronoth Ron Ben Yishai.
In particolare Ben Yishai evidenzia come l’accordo permetterebbe a Israele di mettere finalmente in funzione Karish, senza doversi preoccupare delle minacce di Hezbollah. Il gruppo terroristico libanese ha infatti più volte minacciato di attaccare il giacimento israeliano. Con l’intesa, questa minaccia sarebbe disinnescata perché anche Hezbollah, sottolinea Ben Yishai, si rende conto che il Libano ha bisogno dell’intesa. Il gruppo, finanziato dall’Iran, sulla carta potrà affermare “di aver costretto Israele alla sottomissione con la minaccia di attaccare le piattaforme di gas israeliane. Può dire di essere l’unico protettore del Libano. Non è vero. – spiega l’analista – Israele ha già approvato i piani per iniziare la produzione nel sito di Karish e l’esercico ha già preso le misure necessarie per garantirne la sicurezza. La produzione inizierà quando tutti i preparativi tecnici saranno completati, indipendentemente dalle minacce di Hezbollah”. Dall’altro lato l’intesa è per il capo di Hezbollah Hassan Nasrallah “una via d’uscita dal suo bluff per impedire a Israele la produzione. Qualsiasi tentativo di colpire l’impianto di Karish avrebbe causato una massiccia risposta militare israeliana che avrebbe ulteriormente indebolito il Libano, che è già uno Stato fallito, affetto da crisi economica”.
Le giornaliste dell’emittente Kan Gili Cohen e Tamar Almog spiegano che il compromesso porta vantaggi a entrambi i paesi. “Israele sa che produrre gas, con le minacce di Hezbollah e soprattutto con una situazione precaria della sicurezza nell’area dell’impianto, non è una buona idea. In Libano si sono resi conto che sarebbe molto difficile convincere una compagnia internazionale ad avviare l’esplorazione del gas quando c’è una questione diplomatica e di sicurezza irrisolta con i vicini israeliani”.
Tra le voci contrarie all’intesa proposta dagli Usa, il leader dell’opposizione israeliana, Benjamin Netanyahu. Sotto il suo governo nel 2020 erano iniziati i negoziati, ma i risultati odierni per l’ex Premier non sono soddisfacenti. “Lapid non ha il mandato per cedere un territorio sovrano e beni sovrani che appartengono a tutti noi a uno Stato nemico”, ha dichiarato Netanyahu. In un altro passaggio ha accusato il Premier, con cui si contenderà la guida del paese nelle elezioni di novembre, di aver regalato “a Hezbollah un enorme giacimento di gas israeliano”. Per Cohen e Almong l’accusa però non corrisponde alla situazione: il giacimento Qana, di cui parla Netanyahu, “è un giacimento potenziale di cui 2/3 andrebbero al Libano e 1/3 a Israele”. E, aggiungono, non è corretto parlare di territori e beni sovrani israeliani: “quel territorio non appartiene ufficialmente a nessuno, e proprio per questo i negoziati sono in corso dal 2011, la maggior parte durante il mandato di Netanyahu come primo ministro”.

dr