Israele divisa tra Netanyahu e Lapid con il rischio di un nuovo stallo
Si avvicina la data della quinta elezione in tre anni e mezzo per Israele. E i sondaggi presagiscono, salvo sorprese, un ennesimo stallo: se infatti il Likud di Benjamin Netanyahu è ampiamente dato come primo partito (31 seggi), la coalizione su cui poggia non sembra poter arrivare ai 61 seggi necessari per ottenere la maggioranza alla Knesset. Sostenuto dai partiti religiosi, Shas e Yahadut HaTora, e dalla compagine di estrema destra Sionismo religioso, Netanyahu rischia di mancare l’obiettivo per un solo seggio. Le proiezioni danno infatti la sua coalizione a 60, a un passo dal poter tornare a guidare il paese. Ma comunque non abbastanza.
Sul versante opposto, per il leader di Yesh Atid (secondo partito con 24 seggi previsti) Yair Lapid la situazione è ancora più complicata. L’eterogenea alleanza che lo ha portato fino all’attuale ruolo di Primo ministro può contare al massimo su 56 seggi. Dal partito centrista guidato da Benny Gantz (12 seggi) alla sinistra di Meretz e Labour (5 seggi ciascuno) fino agli arabi di Raam e Hadash-Taal (4 seggi ciascuno), nonostante le tante componenti, ottenere una maggioranza alla Knesset il prossimo Primo novembre appare un’impresa.
In questo quadro, gli opinionisti locali cominciano a chiedersi se la prossima legislatura sarà segnata da un nuovo accordo di alternanza per garantire a Israele un governo. Necessario per evitare ennesime elezioni e soprattutto un futuro al paese. Così dopo l’accordo Gantz-Netanyahu del 2019 e Bennett-Lapid del 2021, ora i sondaggisti dell’emittente pubblica Kan hanno chiesto all’elettorato quale opzione preferirebbero in caso di stallo: il 35 per cento ha risposto che vorrebbe un governo di unità con un avvicendamento tra Netanyahu e Lapid o Netanyahu e Gantz, il 19 ha dichiarato di preferire un governo Netanyahu con il sostegno di uno dei partiti arabi, il 21 ha risposto di preferire le seste elezioni.