Israele si prepara al voto
mentre l’odio torna a colpire

A quarantotto ore dal voto, Israele deve fare i conti ancora una volta con la violenza terroristica palestinese. A caderne vittima la scorsa notte un uomo di cinquant’anni, Ronen Hanania, ucciso davanti agli occhi del figlio da un terrorista affiliato a Hamas. I due erano appena usciti da un minimarket situato tra l’insediamento di Kiryat Arba e la vicina città di Hebron, in Cisgiordania, quando l’attentatore ha aperto il fuoco con un mitragliatore. “Mio padre è stato colpito alla testa, l’ho visto morire davanti a me”, il drammatico racconto del figlio, anche lui rimasto ferito. Rientrato al negozio per cercare rifugio, il giovane ha spiegato di essere stato curato da alcuni dipendenti palestinesi. “Mi hanno curato la mano. Uno di loro ha preso una maglia e l’ha usata come laccio emostatico”. Sul luogo sono poi arrivati i paramedici e le forze di sicurezza in servizio a Kiryat Arba. Contro di loro il terrorista, poi ucciso, ha aperto nuovamente il fuoco, ferendo tre persone, di cui una in modo grave. “Siamo sconvolti dall’attacco a Kiryat Arba alla fine dello Shabbat e piangiamo con la famiglia e i cari della vittima”, il messaggio del Presidente israeliano Isaac Herzog, che ha mandato un messaggio di auguri ai feriti per una pronta guarigione. In queste ore inoltre, sempre in Cisgiordania c’è stato un altro attacco: questa volta un attentatore ha lanciato la propria auto contro una fermata di un autobus, ferendo alcune persone, ora fuori pericolo. L’uomo è stato ucciso dalle forze di sicurezza.
La questione sicurezza dunque continua ad essere al centro delle preoccupazioni della politica e dei cittadini d’Israele, con all’orizzonte molti punti interrogativi sulle elezioni. Gli ultimi sondaggi infatti confermano quanto già largamente anticipato: dalle urne il Primo novembre difficilmente uscirà un vincitore. Quattro diversi istituti prevedono che il Likud di Benjamin Netanyahu sarà saldamente il primo partito con 31 seggi. Un dato incoraggiante per Netanyahu, ma non sufficiente. La coalizione infatti viene da tutti data a 60 seggi, uno in meno rispetto a 61 necessari per avere la maggioranza alla Knesset. “Queste elezioni si giocano sul filo del rasoio”, spiega la politologa Nili Reichman all’emittente pubblica Kan, sottolineando come il blocco di Netanyahu – che conta sui partiti religiosi e sull’estrema destra del Sionismo religioso – potrebbe vincere nel caso in cui un partito del blocco opposto non riuscisse a passare la soglia di sbarramento. La sinistra di Meretz e i due partiti arabi (Hadash-Taal e Lista araba) sono i più a rischio. Potrebbero ottenere tutti quattro seggi (il minimo), ma potrebbero anche rimanere di poco fuori. Con la ridistribuzione, a guadagnarci spiega Reichman sarebbe Netanyahu. Anche per questo da tenere sott’occhio, scrive Haaretz, sarà l’affluenza nel settore arabo: se dovesse essere inferiore al 50 per cento, il vento potrebbe soffiare nella direzione del leader del Likud, pronto a ritornare Premier dopo quasi due anni da guida dell’opposizione.

(Nell’immagine, il capo di Stato maggiore Aviv Kochavi sul luogo dell’attentato nei pressi di Kiryat Arba)