Un nuovo speaker per la Knesset

Concessioni, aperture, passi indietro. Proseguono le trattative tra il Primo ministro incaricato Benjamin Netanyahu e i gruppi della sua maggioranza per definire l’accordo di coalizione che porterà alla formazione del prossimo governo israeliano. Netanyahu spera di non superare le quattro settimane previste per legge per la formazione dell’esecutivo. Il termine del suo mandato è fissato alla mezzanotte dell’11 dicembre e, scrivono i media locali, sembra difficile che per quella data tutto sia definito con i suoi alleati. Chiederà quindi una proroga al Presidente Isaac Herzog, che, sebbene le opposizioni protestino, dovrebbe concederla senza difficoltà. Nel mentre Netanyahu potrà contare su un passaggio importante per consolidare la propria maggioranza: la nomina del nuovo speaker della Knesset. Quello attuale infatti – Mickey Levy di Yesh Atid -, dopo che il blocco guidato dal leader del Likud ha presentato le proprie 64 firme, verrà sostituito la prossima settimana. Levy nel mentre ha annunciato nelle scorse ore che onorerà “l’insolita richiesta di eleggere il presidente della Knesset non contestualmente al giuramento del governo” e ha fissato il voto per il suo successore per lunedì prossimo. Con il cambio della presidenza, la coalizione potrà calendarizzare il voto di alcuni provvedimenti che all’interno della maggioranza vengono descritti come necessari per portare alla formazione del nuovo governo Netanyahu. In particolare, riporta l’emittente israeliana Canale 12, “l’approvazione di una legge che consenta al leader di Shas Aryeh Deri di servire come ministro nonostante le condanne per corruzione”. Deri, che ha scontato una pena detentiva per corruzione all’inizio della sua carriera politica, è destinato a diventare il prossimo ministro della Sanità e degli Interni. Secondo quanto riferisce poi l’emittente Kan, con il nuovo speaker – al momento non circolano nomi sicuri – verrà messa in calendario un’altra significativa modifica: l’introduzione della possibilità per la Knesset di annullare le sentenze dell’Alta Corte di giustizia con una maggioranza semplice di 61 parlamentari.