Dalla giustizia alla politica estera, i piani del governo Netanyahu
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Trentuno ministri e un programma molto ampio e radicale sono le componenti del nuovo governo israeliano guidato – per la sesta volta – da Benjamin Netanyahu. Prima del giuramento il Premier aveva già illustrato, attraverso i propri profili social, gli obiettivi della sua coalizione. Al primo punto il leader del Likud ha garantito che “il governo promuoverà e svilupperà insediamenti in tutte le parti della Terra d’Israele – in Galilea, Negev, Golan, Giudea e Samaria”. Subito dopo, l’impegno a contrastare il tentativo iraniano di dotarsi della bomba atomica. Poi diverse promesse legate a temi sociali, dalla riduzione del costo della vita allo sviluppo di infrastrutture, dal contrasto alla criminalità nel settore arabo-israeliano agli investimenti nelle periferie.
Sul fronte delle riforme, uno dei punti principali in agenda – in particolare del ministro della Giustizia Yariv Levin – è la radicale revisione del sistema giudiziario. La direzione annunciata è “ripristinare il giusto equilibrio tra i poteri”, afferma Netanyahu. In concreto, gli accordi di coalizione tra il Likud e i suoi cinque alleati della maggioranza – i partiti haredi Shas e Yahadut HaTorah, e le compagini di estrema destra Sionismo Religioso, Otzma Yehudit e Noam – prevedono l’approvazione della clausola di superamento della Corte Suprema d’Israele. Una novità che consentirà a una maggioranza semplice della Knesset (61 voti su 120, la maggioranza ne ha attualmente 64) di ripristinare qualsiasi legge venga invalidata dalla Corte Suprema. Un altro punto è la modifica della modalità di nomina dei giudici, con un sistema maggiormente influenzato dalla politica e in particolare da chi detiene la maggioranza. In questa direzione va in particolare il piano del ministro Levin. Secondo quanto dichiarato da un suo portavoce, uno dei progetti sarebbe quello di sostituire l’attuale comitato di selezione dei quindici giudici della Corte suprema, formato sia da parlamentari sia da magistrati e professionisti del settore legale.Nella nuova versione – che ricorda in parte quella Usa – la nomina dei candidati sarebbe affidata al governo che li proporrebbe poi alla Knesset per l’approvazione. A fianco a questo Levin ha proposto di abbassare l’età di pensionamento dei giudici della Corte Suprema da 70 a 67 anni. Se attuata, la mossa richiederebbe a quattro dei 15 giudici in carica di farsi da parte, tra cui il presidente della Corte Suprema Esther Hayut, 69 anni, Uzi Vogelman, 68 anni, Yosef Elron, 67 anni, e Anat Baron, 69 anni. Se entrambe le riforme dovessero andare in porto, ricordava il sito ynet, l’attuale esecutivo avrebbe la possibilità di nominare quattro giudici di proprio gradimento nel tribunale più importante d’Israele. Nonché l’istituzione più contestata dalla destra negli ultimi anni. I critici di questa riforma, rileva il New York Times, sostengono che la mossa limiterebbe il potere della magistratura indipendente, danneggiando il sistema democratico di Israele e lasciando le minoranze più vulnerabili.
Sempre il quotidiano americano segnala come il fatto che il nuovo esecutivo faccia affidamento su partiti di estrema destra “potrebbe complicare le relazioni di Israele con l’alleato forse più importante, gli Stati Uniti, e con gli ebrei americani, che sono stati tra i più forti sostenitori di Israele all’estero”. A “complicare le relazioni” potrebbe essere la politica sugli insediamenti, con i ministri Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir pronti a sostenere una forte espansione.
Il primo, che sarà ministro delle Finanze per poi ruotare con il leader di Shas Aryeh Deri, ha ottenuto una parte delle competenze del Ministero della Difesa. In particolare, supervisionerà l’edilizia ebraica e palestinese nell’Area C della Cisgiordania (circa 500mila ebrei e 300mila palestinesi), una zona sotto il controllo civile e militare di Israele. Queste nuove attribuzioni al ministero di Smotrich – che nel 2005 era stato arrestato dallo Shin Bet con il sospetto di aver pianificato una violenta manifestazione a favore degli insediamenti – non hanno però ricevuto il gradimento del capo di Stato maggiore Aviv Kochavi. Questi, in una richiesta decritta come inconsueta dai media locali, ha chiesto e ottenuto di parlare con Netanyahu. Nella conversazione Kochavi ha espresso preoccupazione per ogni eventuale modifica sulla gestione dell’area.
Il Sionismo religioso intanto nel suo accordo di coalizione con il Likud ha messo per iscritto, seppur senza indicazioni precise, l’obiettivo di annettere la Cisgiordania a Israele, la legalizzazione di decine di avamposti non autorizzati e lo stanziamento di ingenti fondi per la costruzione di strade e trasporti pubblici nell’area.
Questi progetti rischiano di aprire uno scontro con l’amministrazione Usa, spiega tra gli altri l’emittente Kan, riportando le dichiarazioni del Presidente Joe Biden. Nel complimentarsi con Netanyahu per il ritorno alla guida d’Israele e nel ribadire la stretta collaborazione tra i due alleati, Biden in una nota ha anche sottolineato che, “come abbiamo fatto per tutta la mia amministrazione, gli Stati Uniti continueranno a sostenere la soluzione dei due Stati e ad opporsi alle politiche che mettono in pericolo la sua fattibilità o che contraddicono i nostri reciproci interessi e valori”. Washington è preoccupata anche, evidenzia ynet, per il ruolo di Ben-Gvir come nuovo ministro della Sicurezza nazionale (carica precedentemente denominata ministro della Pubblica sicurezza) e per la sua ampia autorità sulla polizia.
In politica estera però i due paesi potrebbero trovare una sintesi. Nel suo comunicato Biden ha scritto di non vedere “l’ora di lavorare con il Primo Ministro Netanyahu, che è mio amico da decenni, per affrontare insieme le molte sfide e opportunità che Israele e la regione del Medio Oriente devono affrontare, comprese le minacce dell’Iran”. Per il Premier la minaccia iraniana è una priorità assoluta: secondo il sito Walla una delle figure chiave nell’affrontare la questione sarà Ron Dermer, uomo fidato del leader del Likud e nuovo ministro per gli Affari strategici. A lui andrà sia il capitolo Iran sia l’altro grande tema di politica estera nell’agenda Netanyahu: l’Arabia Saudita. Anche qui gli obiettivi di Gerusalemme e Washington potrebbero convergere con l’obiettivo di portare a casa una storica normalizzazione dei rapporti con il regno saudita.