Netanyahu e il dialogo con gli Usa
“Dalla Cisgiordania all’Iran,
la priorità è la sicurezza d’Israele”

Ascolterà le altre voci – quelle di Washington, dei suoi alleati di governo, delle opposizioni –, ma alla fine sarà lui a decidere la strada da intraprendere. In una lunga intervista all’emittente americana Cnn il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha voluto mandare un messaggio alla Casa Bianca così come alla politica interna: l’ultima parola spetta a lui. Sia sulla questione della riforma della giustizia, sia sulla situazione del Monte del Tempio, così come sui rapporti con i palestinesi e nella sfida alla minaccia iraniana. “Io controllo il governo e sono responsabile delle sue politiche. E le politiche sono sensate e responsabili e continueranno ad esserlo”, ha affermato in uno dei passaggi dell’intervista rilasciata al giornalista Jake Tapper. Molti i temi affrontati nel corso del colloquio, a partire dalle nuove tensioni con i palestinesi. Washington, per bocca del suo segretario di Stato Antony Blinken in visita nella regione (nell’immagine l’incontro con Netanyahu), ha chiesto di calmare le acque. E allo stesso tempo ha dichiarato di essere contraria all’espansione degli insediamenti in Cisgiordania – in particolare dopo l’annunciata intenzione in questo senso del governo Netanyahu – e a favore della soluzione dei due Stati. Sul primo punto, in riferimento alla posizione della Casa Bianca per cui l’espansione degli insediamenti rappresenta un ostacolo alla pace, il Premier ha dichiarato di “non essere assolutamente d’accordo”.
Guardando alla recente ondata di violenza, ha poi indicato nell’Autorità nazionale palestinese la responsabile dell’escalation per l’incapacità di gestire la sicurezza interna. “Non esercita realmente il suo potere per combattere i terroristi”, ma, l’accusa di Netanyahu, li celebra e “paga loro gli stipendi”. In tema di rapporti con i palestinesi il Premier ha detto di essere aperto ai negoziati – altro punto invocato da Blinken nella sua visita – ma ci si arriverà passando per nuove intese con altri paesi arabi nel solco degli Accordi di Abramo. Inoltre, anche allora, per il leader del Likud sul tavolo non ci sarà la soluzione dei due Stati. “Non la chiamerei così” ha affermato, immaginando una realtà in cui dare ai palestinesi “tutti i poteri di cui hanno bisogno per governarsi da soli, ma nessuno dei poteri che possono minacciarci”. Israele, la sua conclusione, in ogni caso dovrebbe mantenere la responsabilità sulla sicurezza nella regione.
Altro tema di divergenza con gli Usa, ma soprattutto con una parte della politica e opinione pubblica interna è la citata riforma della giustizia, diretta a ridimensionare il ruolo della Corte Suprema israeliana. Anche qui i segnali dall’amministrazione americana sono stati di grande preoccupazione. Secondo i critici la riforma lede la struttura democratica del paese perché attribuisce troppo potere a esecutivo e maggioranza alla Knesset, minando il potere di controllo della Corte suprema. Da settimane chi contesta il provvedimento ha scelto di farlo nelle piazze, con grandi manifestazioni tenutesi soprattutto a Tel Aviv. “Sono pronto ad ascoltare le controfferte”, ha dichiarato Netanyahu alla Cnn, continuando però a difendere il piano promosso dal suo ministro della Giustizia Yariv Levin. Alcune delle critiche a suo dire sono “dettate da una mancanza di comprensione, da una mancanza di informazioni”, altre sono “solo slogan da parte di avversari politici che hanno perso le elezioni”. Rispetto a chi dice che la democrazia è a rischio – tra cui anche la voce del conservatore americano Alan Dershowitz -, la replica è che la riforma la rafforzerà. “Israele è in questo momento un’anomalia, Israele ha l’attivismo giudiziario più estremo, è andato fuori dai binari e noi stiamo cercando di riportarlo al livello di quasi tutte le democrazie, sia nella selezione dei giudici che nell’equilibrio tra i vari rami del governo”.
Si è toccato poi l’argomento Iran. Qui con Washington c’è maggiore sintonia rispetto al passato. Il Premier si è rifiutato di commentare le indiscrezioni secondo cui il recente attacco a Isfahan è stato compiuto da Israele. Ha però ribadito l’impegno del suo governo e del paese ad evitare che il regime si doti dell’atomica, agendo direttamente per fermarlo. “L’unico modo per impedire a uno Stato canaglia di ottenere armi nucleari è una combinazione di sanzioni economiche” e “una minaccia militare credibile”. “Se questa deterrenza fallisce, non hai altra scelta che agire”.