“Israele e il futuro, serve
un nuovo immaginario collettivo”

L’exploit elettorale dell’estrema destra, da Itamar Ben-Gvir a Bezalel Smotrich ha aperto a molte analisi preoccupate sulla direzione che intraprenderà il paese in questi quattro anni del governo guidato da Benjamin Netanyahu. Soprattutto per il potere che hanno guadagnato le forze alla sua destra. Il timore è che queste ultime si impegnino nello smantellamento di alcuni principi e istituzioni cardine d’Israele, portando il paese sui binari già seguiti da realtà come l’Ungheria, ormai una democrazia illiberale. Alcune prese di posizione dei citati Ben-Gvir e Smotrich, rispettivamente ministri della Sicurezza nazionale e delle Finanze hanno rafforzato queste preoccupazioni. Eppure è da sottolineare come la loro proposta elettorale abbia ottenuto democraticamente molti consensi. E sia stata altrettanto chiara la mancanza di un’alternativa credibile.
Un dato che apre a ulteriori riflessioni, come sottolinea l’analista Gabriele Segre prestandosi a un lungo colloquio con Pagine Ebraiche. Direttore della Fondazione Vittorio Dan Segre e studioso di politica israeliana e internazionale, Segre, all’indomani del successo del blocco di Netanyahu, non si era stupito del successo delle destre estreme. “Israele è arrivata a questo punto allineandosi con un trend storico internazionale: in diversi paesi ci sono state svolte fortemente populiste con tratti di cultura politica che rimandano a visioni di società non necessariamente liberali”. Ben-Gvir kahanista a cui da giovane non fu permesso di entrare nell’esercito perché considerato troppo estremista, e Smotrich, politico dichiaratamente omofobo che nel 2005 fu arrestato perché sospettato di voler far un attentato per contestare il disimpegno da Gaza, sono dunque in parte una traduzione israeliana di un fenomeno globale. Entrambi esprimono la coerenza della destra più estrema, con una visione sionista religiosa messianica, spiega Segre, che non ha il problema di bilanciare i propri principi con la democrazia. “Per il sionismo estremista di stampo religioso l’identità dello Stato d’Israele è radicalmente ebraica e questo viene prima di tutto; prima della capacità di costruire uno spazio di convivenza comune. Prima della pace. Prima dell’impianto democratico liberale delle istituzioni così come erano state disegnate da uno Stato laico. Viene prima di tutto”. E in questo c’è una chiara e forte coerenza, apprezzata da un elettorato sempre più smarrito nei problemi della globalizzazione, rileva il direttore della Fondazione Vittorio Dan Segre. “Alle loro idee fanno seguire parole, comportamenti e agende”. La loro visione religiosa e conservatrice del sionismo è dunque chiara.
Non si può dire altrettanto, sottolinea Segre, delle opposizioni sconfitte. L’uso da parte loro di una visione dogmatica del sionismo entra in contraddizione con altri elementi che si propongono di sostenere. “Altri valori, per esempio quelli della coesistenza, della convivenza, della costruzione di una cultura plurale in uno stato più aperto e così via. La loro proposta politica è ‘siamo sionisti ma anche’. Però questo confonde le persone”. Quindi risulta poco convincente. L’ipotesi di Segre, che vive a Tel Aviv, è che chi vuole produrre delle alternative debba avere “il coraggio e la forza di pensare un nuovo immaginario collettivo, una nuova visione di evoluzione di questa società che deve necessariamente passare anche per un’analisi critica e storica del sionismo. Non vuol dire assolutamente rinnegarlo, ma mettere in discussione la sua cristalizzazione. Metterlo in relazione con l’oggi”.
Per Segre il discorso sul sionismo vale più in generale per la democrazia. “Difendere una posizione acriticamente – il sionismo o la democrazia – non può che fare male, perché non permettiamo che avvenga l’evoluzione necessaria” a fronte di demografie che cambiano, tessuti sociali che si modificano, culture di riferimento che cedono il passo. Tornando a Israele, mentre al momento non vi sono alternative credibili alla coerenza della destra più radicale, Segre ritiene che il paese possa sempre contare su “un impianto valoriale democratico liberale e moderno: nel prossimo futuro vedo le cose andare peggio, ma con l’idea che poi andranno meglio. La radicalizzazione farà sì che diventi un’urgenza sviluppare un nuovo immaginario collettivo. La storia è tutta da scrivere, cose fantastiche possono accadere. Israele può diventare il paese laboratorio della nuova convivenza”.
Infine per Segre fondamentale è guardare a Israele con occhio critico. “La difesa aprioristica del paese non fa il suo bene. Anzi lo rende più fragile e incapace di migliorarsi. Per cui sono contro lo slogan ‘Con Israele senza se e senza ma’. Per me, anzi è il contrario: con Israele con i se e con i ma”.
Daniel Reichel, Pagine Ebraiche