“Cinque salvataggi in 36 ore,
il tempo è un fattore decisivo”

Le famiglie sono raggruppate attorno alle macerie. Ascoltano ogni rumore sperando di sentire la voce di un proprio caro. Aspettano al freddo: di giorno la temperatura è attorno allo zero, di notte scende a -4. Attorno, pochi edifici sono in piedi. Alla squadra israeliana, composta da 150 donne e uomini dell’esercito e dei ministeri degli Esteri e della Difesa, sono affidati per prima cosa due strutture adiacenti. Sette piani ciascuna, quarantacinque appartamenti.
“Le autorità locali sapevano o comunque immaginavano che nei due edifici potevano esserci dei sopravvissuti” racconta il diplomatico David Saranga, parte della delegazione umanitaria. In una conferenza a distanza con i media di diversi paesi, tra cui Pagine Ebraiche, Saranga spiega che nel corso delle 36 ore precedenti cinque persone sono state tratte in salvo dalle macerie dai soccorritori giunti da Israele. Nelle ore successive all’incontro, altre cinque. Tra queste, un piccolo di due anni e un bambino di dodici.
“Sono meno di due giorni che siamo qui, ma vi assicuro che sembrano due settimane”, afferma il diplomatico. Il lavoro della missione, simbolicamente nominata “Rami d’Ulivo”, prosegue senza sosta perché il tempo gioca un ruolo fondamentale. Nelle prime 48 ore dopo disastri simili, evidenzia Saranga, c’è la maggior possibilità di riuscire a estrarre le persone vive. “Noi comunque – aggiunge – rimarremo qui settimane se sarà necessario”.
Sbarcati ad Adana, nella Turchia meridionale, alle otto di sera del 6 febbraio gli uomini e le donne del soccorso israeliano sono arrivati dopo altre cinque ore di viaggio nell’area di competenza. “Per motivi di sicurezza non possiamo divulgare di preciso dove siamo dispiegati”, afferma Saranga. Prima missione, i due edifici di sette piani completamente distrutti. Dopo aver individuato le voci dei superstiti, i soccorritori si sono fatti descrivere esattamente la planimetria degli appartamenti dai familiari. “In questo modo è più facile capire dove intervenire”. Alla soddisfazione di riuscire, dopo ore, a tirare fuori un uomo, una donna, un bambino vivi, si accompagna una certa amarezza. “Non vi nascondo – afferma Saranga – che uno dei momenti più tristi è vedere le famiglie delle altre persone avvicinarsi a noi dopo un soccorso riuscito e chiederci di salvare ora anche il proprio caro”.
Il paesaggio attorno è quello fotografato dai media di tutto il mondo: “una devastazione difficilmente immaginabile. Non dico città intere rase al suolo, ma quartieri sì”, il racconto dell’ambasciatrice d’Israele in Turchia Irit Lillian, collegata da Ankara. Tra i luoghi più colpiti anche Antiochia, dove sotto le macerie si trovano, tra gli altri il presidente della Comunità ebraica locale e la moglie, Saul e Tuna Cenudioğlu. “Purtroppo siamo molto preoccupati per la loro situazione. È molto difficile”.
Mentre si attendono notizie da Antiochia, l’ambasciata è impegnata ad aiutare anche la creazione di un ospedale da campo per le vittime del terremoto. Quindici cargo sono partiti nelle ultime 24 ore da Israele con centinaia di tonnellate di attrezzature e 230 medici e sanitari che si occuperanno rendere operativo l’ospedale. “Diversi paesi ne stanno realizzando in varie località della Turchia. Il nostro sarà sicuramente il primo ad essere operativo”, l’annuncio dell’ambasciatrice Lillian.
dr