Giustizia, insediamenti, terrorismo:
le priorità del governo Netanyahu

L’allarme del presidente Isaac Herzog continua a risuonare in Israele. “Siamo sull’orlo di un collasso sociale e costituzionale”, aveva avvertito in un discorso in diretta televisiva. Un intervento senza precedenti nei modi e nei tempi, dimostrazione della gravità della situazione. A innescarlo, la contestata riforma della giustizia proposta dall’esecutivo Netanyahu. Poi è arrivata la grande e pacifica manifestazione di Gerusalemme a ribadire alla maggioranza di governo che una parte del paese quella modifica non la vuole. Non in quei termini. A sostenere i manifestanti, oltre alle opposizioni politiche, anche molte voci del settore economico, da ex governatori della Banca centrale a imprenditori del fondamentale mondo hi-tech.
La voce della piazza e di Herzog ha portato a un’apertura da parte del governo, che ai critici ha risposto di avere ottenuto il sostegno alla riforma in modo democratico: vincendo alle urne. I promotori della revisione giuridica, il ministro della Giustizia Yariv Levin e il presidente della Commissione parlamentare Costituzione, Legge e Giustizia Simcha Rothman hanno detto di essere pronti a incontrare i vertici delle opposizioni. “Senza precondizioni” per discutere nel merito dei provvedimenti volti a limitare il potere della Corte Suprema e a dare alla maggioranza il controllo sulla nomina dei giudici. Nessuno dei due si è detto però disponibile a sospendere l’iter legislativo nella fase delle trattative. E così il capo dell’opposizione Yair Lapid – che ha posto la sospensione come condizione necessaria per avviare qualsiasi colloquio – ha rifiutato l’invito di Levin e Rothman. “Se fossero seri nella loro offerta, – l’affondo di Lapid – accetterebbero di sospendere la loro legislazione fino alla fine di tale dialogo e forse si disturberebbero anche a informare il Presidente e me della loro offerta, invece di farcela sapere tramite la stampa”.
Il clima rimane quindi di profonda divisione e il governo da un lato apre al dialogo, dall’altro sceglie di proseguire, portando in parlamento la controversa riforma. Anche gli Stati Uniti hanno fatto sentire la propria voce in merito. In un inconsueto intervento in replica al New York Times, il presidente Usa Biden ha invitato l’amico Netanyahu e il suo governo a lavorare sul consenso. “La genialità della democrazia americana e di quella israeliana è che entrambe sono costruite su istituzioni forti, su controlli ed equilibri, su un sistema giudiziario indipendente”, il messaggio di Biden, con riferimento al timore che in Israele la riforma modifichi l’indipendenza della magistratura. “Costruire il consenso per i cambiamenti fondamentali – le parole del presidente Usa – è davvero importante per garantire che i cittadini li accettino”. Da parte di Washington intanto non c’è consenso per una recente azione del governo di Gerusalemme. Si tratta delle misure adottate dal gabinetto di sicurezza israeliano per legalizzare nove avamposti in Cisgiordania, costruire migliaia di nuove unità abitative e collegare il tutto alla rete idrica ed elettrica. “Siamo profondamente turbati dalla decisione di Israele di far avanzare, secondo quanto riferito, quasi 10mila unità abitative e di avviare un processo per legalizzare retroattivamente nove avamposti in Cisgiordania che erano precedentemente illegali secondo la legge israeliana”, ha dichiarato il segretario di Stato Usa Blinken in un messaggio firmato assieme ai ministri degli Esteri di Francia, Germania e Italia e Regno Unito. “Ci opponiamo fermamente a queste azioni unilaterali che serviranno solo a esacerbare le tensioni tra israeliani e palestinesi e a minare gli sforzi per raggiungere una soluzione negoziata a due Stati”, il duro intervento condiviso dalla diplomazia Usa e dalle cancellerie dei paesi europei. “Riaffermiamo – si legge nella nota – il nostro impegno ad aiutare israeliani e palestinesi a realizzare la visione di un Israele pienamente integrato nel Medio Oriente che viva accanto a uno Stato palestinese sovrano e vitale. Continuiamo a monitorare da vicino gli sviluppi sul campo che hanno un impatto sulla fattibilità della soluzione dei due Stati e sulla stabilità della regione in generale”.
Da Givat Harel, uno degli insediamenti in procinto di essere legalizzato, ha risposto il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich. “La reazione americana è del tutto comprensibile. L’attuale amministrazione sa che questo governo è impegnato negli insediamenti. Non c’è niente di male se due amici hanno delle dispute. Loro capiscono, e questo è il modo in cui le cose continueranno”. Come con la riforma della giustizia, le parole di Smotrich evidenziano l’intenzione della maggioranza di tirare dritto. “Sono grato al Primo ministro e agli altri membri del governo per aver guidato questo processo, ma siamo obbligati a legalizzare lo status di tutte le comunità negli insediamenti”, la promessa del ministro, leader del partito di estrema destra Sionismo religioso. “Dobbiamo rimuovere tutte le restrizioni alla costruzione in Giudea e Samaria e avviare un periodo di costruzione e sviluppo della nostra terra. Quest’area deve essere trattata esattamente come qualsiasi altra parte del Paese, e questo è ciò che accadrà”.
Il piano arriva in una fase di grande tensione con i palestinesi, con una escalation di violenza terroristica che in poche settimane ha causato la morte di tredici persone. Ultima vittima, l’agente della polizia di frontiera israeliana Asil Sawaed, accoltellato a morte al valico di Shuafat da un tredicenne. “A nome di tutti i cittadini di Israele, invio sentite condoglianze alla famiglia dell’agente della Polizia di Frontiera, il sergente maggiore Asil Sawaed, caduto questa sera in un attacco a colpi di coltello al valico di Shuafat. Che la sua memoria sia benedetta”, il messaggio del Premier Netanyahu, che ha promesso nuove strette sulla sicurezza.