Netanyahu in sinagoga a Roma
“Israele e Diaspora, un unico popolo”

Nella Roma in cui il popolo ebraico è stato segnato “da grandi tragedie, ma anche successi, dobbiamo ricordare che siamo tutti fratelli e sorelle. Dobbiamo ricordarlo in particolare in questi giorni di dibattito e divergenze in Israele: abbiamo un passato comune e un futuro condiviso. Per questo dobbiamo calmare la situazione e trovare un’intesa. Per questo ben vengano tutte le iniziative, compresa quella del Presidente d’Israele, per arrivare a un accordo il più ampio possibile per potere continuare insieme come fratelli e sorelle”. Così il Primo ministro d’Israele Benjamin Netanyahu, intervenendo in queste ore nel Tempio Spagnolo della Comunità ebraica di Roma. Un intervento in cui il Premier ha ribadito l’amicizia tra Italia e Israele, ha parlato della necessità di contrastare la corsa all’atomica dell’Iran e ha evidenziato l’impegno ad allargare i rapporti con i paesi arabi, in particolare con l’Arabia Saudita. A intervenire dopo il Primo ministro, la presidente della Comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello, la presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni e il rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni.
Nel corso della serata è arrivata la notizia di un attentato terroristico a Tel Aviv con alcuni feriti, di cui uno grave. “Mandiamo i nostri auguri di pronta guarigione ai feriti. – il commento di Netanyahu – Abbiamo rafforzato la sicurezza e troveremo il terrorista. Questa notte e in quelle a venire. Continueremo a rafforzare le nostre radici, a costruire la nostra nazione e il nostro futuro comune”.
A intervenire dopo il Premier, Ruth Dureghello, che ha ricordato l’antica storia della Comunità ebraica di Roma e il legame del mondo ebraico con Gerusalemme, citando il salmo “Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra”. “Caro Primo ministro le posso assicurare che la Comunità ebraica di Roma non solo non ha mai dimenticato Gerusalemme, – le parole di Dureghello – ma, come nessuna Comunità della Diaspora ha saputo fare, è sempre stata e sarà dalla parte dello Stato ebraico, della sua capitale Gerusalemme unica e indivisibile”. Spazio anche alla memoria delle ferite della Shoah così come del 9 ottobre 1982 quando un commando terroristico palestinese attaccò il Tempio Maggiore, uccidendo il piccolo Stefano Gaj Taché. “La nostra vicinanza a Israele, al suo popolo, alla sua democrazia non può essere messa in discussione. – ha concluso Dureghello – Siamo necessari uno per l’altro. La forza d’Israele è negli ebrei della Diaspora e la forza degli ebrei della Diaspora è in Israele”. Rispetto ai temi politici,  per la presidente della Comunità ebraica romana “le scelte del governo di Israele riguardano i cittadini israeliani, che hanno diritto come in ogni democrazia di esprimere dissenso e posizioni diverse. Noi ebrei della diaspora non abbiamo questo privilegio, noi siamo dalla parte dello stato di Israele’
A portare i saluti delle 21 Comunità ebraiche italiane è stata la presidente UCEI Noemi Di Segni. “Gli ebrei italiani seguono giorno per giorno, minuto per minuto, la realtà israeliana, da mesi, da anni, da decenni, da sempre, sentendosi parte del grande sogno sionista e costruzione dello Stato ebraico di cui siamo testimoni appassionati. Israele è parte della nostra identità e destino”. Soffermandosi sulla situazione del paese con le manifestazioni di protesta contro la riforma della giustizia portata avanti dal governo Netanyahu, Di Segni ha detto di non potersi esimere “dal condividere il senso di profonda preoccupazione, dinanzi alla spaccatura che si sta delineando dentro Israele e che inevitabilmente si riflette anche nelle nostre comunità, accentuando nei nostri contesti di riferimento quel giudizio così distorto sulla morale dello Stato di Israele di chi è pronto sistematicamente alla critica”. La presidente UCEI ha poi aggiunto che “non può essere orgogliosamente ebraico il comportamento di chi incita all’odio e alla violenza verso il proprio vicino – chiloni, di sinistra, arabo o palestinese che sia – di chi si fa giustizia da sé. Non si può essere orgogliosamente israeliani, né orgogliosamente ebrei, se in nome di una identità ebraica si offre come risposta al terrore e al lutto la violenza del singolo e la legittimazione ministeriale agli atti di vendetta”. Per Di Segni infine è “doveroso per noi, come istituzioni ebraiche nella diaspora, fare comprendere il perno delle questioni oggetto di votazioni di queste settimane a chi dall’esterno non ha la profonda conoscenza di Israele e grado di immedesimazione. E al contempo non prestarci a situazioni che accentuano le accuse e l’odio verso Israele nel suo insieme”.
A dare notizia ai presenti dell’attacco terroristico compiuto a Tel Aviv, il rav Di Segni. “È una situazione che ci dà il polso di una realtà che è sempre complicata e drammatica. La nostra preoccupazione è anche un segno di quello che diceva il Primo ministro: siamo am echad (un popolo). Una ferita da una parte, colpisce tutti quanti”. Riflettendo poi su due brani di Torah, il rav ha evidenziato come si possa “sistemare qualsiasi lacerazione e la soluzione è dentro la famiglia, cominciando dai genitori. E un popolo, come il nostro, è una grande famiglia”.