“Compromesso, Pikuach Nefesh”

Una grande bandiera israeliana e uno striscione con la Dichiarazione di Indipendenza di Israele sono stati srotolati sulle mura della Città Vecchia di Gerusalemme nelle scorse ore. A prendere questa iniziativa simbolica, in un altro giorno di manifestazioni di massa, il movimento di protesta dei riservisti dell’esercito israeliano. La loro partecipazione alle contestazioni della riforma giudiziaria promossa dal governo Netanyahu – con un’adesione sempre crescente – è uno dei tanti temi delicati di questa tesa fase israeliana. I riservisti rappresentano infatti una parte essenziale della sicurezza del paese: sono regolarmente richiamati per l’addestramento e il servizio. In tempo di guerra o di crisi sono velocemente mobilitati e prendono servizio nelle rispettive unità. Nel corso degli anni si è sempre evitata una caratterizzazione politica di questa realtà, ma lo scontro innescato dalla contestata riforma giudiziaria ora ha ribaltato gli equilibri. E i vertici militari hanno apertamente segnalato la loro preoccupazione ai ministri di riferimento. La richiesta al governo, scrivono i media locali attraverso le diverse fonti dell’esercito, è di impegnarsi in un dialogo e a ricucire gli strappi.
Un appello simile è arrivato anche dai vertici dell’Agenzia Ebraica, preoccupati sia per lo scontro interno a Israele sia per i suoi riflessi a livello internazionale. “Abbiamo assistito a un aumento della polarizzazione tra gli ebrei che amano Israele in tutto il mondo”, si legge nella lettera, firmata dal capo dell’Agenzia ebraica Doron Almog e dal presidente del Consiglio dei governatori Mark Wilf. “Troppi tra noi sono molto preoccupati per le tensioni che provengono da tutte le parti”, l’allarme segnalato da Almog e Wilf, condiviso dai vertici di altre organizzazioni ebraiche internazionali e americane. Nello specifico, l’Organizzazione sionistica mondiale, la Federazione ebraica del Nord America e il Keren Hayesod. “È essenziale che tutte le parti cerchino il dialogo ad ogni costo… per raggiungere il più ampio consenso possibile”, l’appello lanciato a Netanyahu.
La lettera avverte che qualsiasi forma di riforma giudiziaria “non può prevalere sui rischi di una, Dio non voglia, guerra fratricida”. Arrivare a un compromesso, rappresenterebbe “veramente un Pikuach Nefesh, una questione che salva la vita”.
Al momento però la maggioranza di governo sembra decisa a portare a casa la riforma, senza grandi cambiamenti. Alcune delle sue modifiche più radicali potrebbero essere approvate prima di Pesach. In particolare quella che darebbe all’esecutivo il controllo della Commissione che si occupa di nominare tutti i giudici del paese. Uno dei punti, assieme al depotenziamento della Corte Suprema, più contestati dai manifestanti che in queste ore sono scesi in piazza per “Il Giorno della paralisi nazionale”. Obiettivo, bloccare strade e dimostrare in tutta Israele, anche davanti alcuni ministeri chiave. Non sono mancati gli arresti e le parole di critica da parte dell’esecutivo. Intervistata dal quotidiano Yedioth Ahronoth, la ministra dei Trasporti Miri Regev ha chiesto di perseguire penalmente i piloti riservisti – élite dell’esercito e protagonisti di una eclatante protesta – che, a suo dire, incoraggiano il rifiuto di presentarsi in servizio. La replica è però arrivata, con i riservisti che affermano che nessuno incoraggia il rifiuto, ma ognuno deve agire secondo coscienza. Per Regev, “dobbiamo mettere al loro posto i piloti che incitano al rifiuto”. La ministra ha descritto il comportamento di questi riservisti – che avevano annunciato in prima battuta l’assenza da un addestramento di routine – come “intollerabile, inappropriato, irrispettoso e dannoso per l’ethos sionista. Oggi loro non vogliono servire, domani qualcun altro non vorrà farlo”. Sempre Regev è stata protagonista di un piccolo caso internazionale. In un evento pubblico ha dichiarato: “Sono stata a Dubai. Non ho intenzione di tornarci. Non mi è piaciuto il posto. Ma è incredibile vedere le strade che sono riusciti a costruire in sei anni”. Parole che hanno creato una certa irritazione negli Emirati Arabi Uniti, tanto che diversi ministri israeliani, tra cui quello degli Esteri Eli Cohen, hanno mandato messaggi di segno opposto. “Amo Dubai così come il milione di israeliani che hanno visitato gli Emirati Arabi Uniti lo scorso anno”, la dichiarazione di Cohen. “Damage control”, la definizione della situazione da parte dei media locali. Ma dagli Emirati per questo caso così come per le provocatorie affermazioni del ministro delle Finanze Bezalel Smotrich (“non esistono i palestinesi perché non esiste il popolo palestinese”, ma anche il commento sul villaggio palestinese di Huwara da “spazzare via”) è arrivato un avvertimento a Netanyahu: se questa è la direzione, il paese del Golfo potrebbe valutare di raffreddare i rapporti con Gerusalemme. Il successo degli Accordi di Abramo, firmati dallo stesso Netanyahu, rischierebbe così di fare un passo indietro.