Il terrorismo palestinese torna a colpire, Israele valuta nuove contromisure
Nachman Mordoff ed Elisha Anteman, entrambi di diciassette anni, il ventunenne Harel Masood e il sessantaquattrenne Ofer Fayerman si trovavano in un ristorante di hummus e nell’adiacente stazione di servizio quando due terroristi palestinesi hanno aperto il fuoco contro di loro, uccidendoli e ferendo altre quattro persone. L’attentato è avvenuto in Cisgiordania, nei pressi dell’insediamento israeliano di Eli, una quarantina di chilometri a nord di Gerusalemme. I due terroristi sono stati uccisi: uno quasi subito da un civile armato che è intervenuto nella stazione di servizio; l’altro dopo due ore, dopo essere stato rintracciato dalle forze speciali. Ma questo ennesimo attacco terroristico – 24 le vittime da inizio anno di simili attentati palestinesi – non si chiuderà con l’eliminazione dei due responsabili, entrambi affiliati a Hamas. Una discussione sul fronte politico, della sicurezza e mediatico è infatti in corso e appare sempre più imminente una nuova operazione di contrasto al terrorismo nell’area di Jenin e Nablus. Sono queste infatti le due zone in Cisgiordania da dove provengono le maggiori minacce per Israele. “Tutte le opzioni sono aperte”, ha dichiarato il Premier Benjamin Netanyahu. Per i ministri di estrema destra del suo governo, Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, l’unica opzione è “un’operazione militare in Giudea e Samaria”.
Una soluzione che non convince diversi esperti, concordi però nel dire che c’è una perdita di deterrenza da parte d’Israele rispetto alle attività terroristiche a Jenin e Nablus. La prima è stata peraltro il teatro, 24 ore prima dell’attentato di Eli, di una lunga battaglia tra esercito e miliziani palestinesi che ha messo in difficoltà le forze di sicurezza israeliane. Alcuni mezzi pesanti sono stati gravemente danneggiati e per la prima volta dalla seconda intifada sono stati fatti intervenire elicotteri da combattimento per garantire copertura ai soldati. “I palestinesi hanno dimostrato la capacità di organizzare e reclutare molti miliziatni armati e, soprattutto, la motivazione e la determinazione a confrontarsi con le forze dell’esercito, senza farsi scoraggiare dalla sua potenza di fuoco. – la valutazione di Kobi Michael, analista dell’Istituto per gli studi di sicurezza nazionale di Tel Aviv – L’evento del 19 giugno, che si è concluso con la parata vittoriosa palestinese che ha mostrato i resti carbonizzati dei veicoli di Tsahal danneggiati nell’incidente, è diventato una sorta di evento narrativo formativo. La resistenza armata ha resistito a una forza più grande e più forte, riuscendo persino a infliggere danni e vittime alla parte israeliana. Questo messaggio si diffonde e ispira, aumentando così il livello di motivazione”. Quanto accaduto a Jenin così come il successivo attacco terroristico rappresentano, l’analisi di Michael, la dimostrazione che nel nord della Cisgiordania si muove e si rafforza un movimento pericoloso. Rispetto all’attentato poi, aggiunge l’esperto militare di Yediot Ahronoth Ron Ben Yishai, “Hamas se ne è assunto la responsabilità ed è evidente – sulla base delle armi utilizzate, della pianificazione dell’operazione e delle intenzioni del terrorista fuggito di rimanere in vita – che si trattava di una cellula terroristica relativamente ben addestrata”. Come quest’ultima, ve ne possono essere altre pronte a colpire. “Questa situazione richiede cambiamenti nelle tattiche di combattimento e una maggiore pressione sui potenziali terroristi, – scrive Ben Yishai – sia attraverso la raccolta di informazioni che attraverso operazioni sul campo, sia difensive che offensive”. L’analista di Yedioth Ahronoth però esclude che si possa seguire la strada invocata dall’ala più oltranzista del governo israeliano. “Le richieste del Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir di ‘demolire edifici e compiere attacchi aerei mirati’ non otterranno nulla, se non spingere i giovani palestinesi – giovani adulti che finora si sono tenuti lontani dalla violenza – a rientrare nel ciclo del terrore”. Per questo il suo auspicio è che vi siano sì operazioni a Jenin e Nablus e nelle aree circostanti, ma che siano mirate e non raccolte in una unica e su larga scala.