Israele guarda a Oriente:
Netanyahu verso la Cina

In Italia ci si interrogava su quando l’amministrazione Usa avrebbe invitato la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni in visita ufficiale a Washington. La domanda ha avuto risposta nelle scorse ore con l’annuncio della Casa Bianca dopo una telefonata tra il presidente Joe Biden e Meloni. La Premier è attesa negli Usa per luglio. Un interrogativo simile se lo pongono in Israele per quanto riguarda il Primo ministro Benjamin Netanyahu, ma per lui non è ancora stata sciolta la riserva. Il mancato invito è diventato un tema politico, considerando che tradizionalmente i capi di governo israeliani sono invitati a Washington nei primi tre mesi del loro mandato. E così era accaduto in passato allo stesso Netanyahu. Ma il suo ultimo esecutivo, entrato in carica a fine dicembre e composto da fazioni di estrema destra, ha avuto diversi scontri più o meno aperti con l’amministrazione Biden: dalle critiche arrivate dagli Usa per la radicale riforma della giustizia e per le politiche sugli insediamenti fino alle divergenze sulla gestione della minaccia iraniana. Un’atmosfera tesa in cui si inserisce un nuovo importante annuncio: a luglio il Primo ministro Netanyahu andrà in visita ufficiale in Cina, la grande rivale globale degli Stati Uniti. A confermarlo, lo stesso Premier, spiegando di aver informato Washington un mese fa. Per lui sarà la quarta missione ufficiale a Pechino da guida del governo israeliano.
In una nota diffusa dal suo ufficio e legata a un incontro a Gerusalemme con alcuni membri del Congresso Usa, si sottolinea in ogni caso che “la cooperazione in materia di sicurezza e intelligence tra Stati Uniti e Israele è ai massimi storici” e che “gli Stati Uniti saranno sempre l’alleato essenziale e insostituibile d’Israele”.
Parole che suonano come una rassicurazione per la Casa Bianca alla luce dei critici rapporti tra Pechino e Washington. Se infatti in queste settimane, con una visita del segretario di Stato Usa Antony Blinken, i due paesi hanno cercato di stabilizzare i propri legami ed evitare che la rivalità reciproca porti a scontri aperti, è anche vero che questi tentativi hanno dato risultati blandi. E lo dimostra la rabbia espressa da Pechino dopo che Biden ha definito il presidente cinese Xi Jiping un “dittatore”.
Per la Casa Bianca la Cina rappresenta la principale minaccia alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti, oltre ad essere il più potente rivale geostrategico. Per questo Washington sta esortando gli alleati stranieri a seguirla nel braccio di ferro con Pechino. Ovviamente tra questi alleati c’è Israele.
Negli ultimi venti anni, evidenzia il ricercatore David Feith del Center for a New American Security, “investitori cinesi, le imprese statali e le aziende tecnologiche, come Huawei e Alibaba, hanno acquisito o investito in circa 463 aziende israeliane. Ogni grande università israeliana, come quelle negli Stati Uniti e in Europa, ha partnership con scuole e laboratori cinesi”. Le imprese cinesi, rileva il ricercatore, hanno costruito o gestiscono circa 4 miliardi di dollari di infrastrutture israeliane, tra cui la metropolitana leggera di Tel Aviv, il porto di Ashdod e quello di Haifa. Da quest’ultimo gli Stati Uniti due anni fa hanno esplicitamente chiesto che i cinesi venissero di fatto estromessi. Il timore era che la Shanghai International Port Group, un colosso del settore portuale coinvolto nel progetto Haifa, operando vicino a dove attraccano le navi della sesta flotta statunitense possa potenzialmente svolgere attività di spionaggio.
Diversi esperti hanno segnalato come in effetti Gerusalemme abbia ascoltato le preoccupazioni Usa e in generale abbia ridotto il coinvolgimento cinese nelle sfere considerate più delicate per il paese. Difficilmente il viaggio di Netanyahu cambierà la situazione.

(Nell’immagine, l’incontro nel 2017 tra il Premier Netanyahu e il presidente cinese Xi Jinping- Foto di Haim Zach)