Jenin, la maxi-operazione antiterrorismo
All’una di notte locali l’esercito israeliano ha avviato un’operazione antiterrorismo su larga scala a Jenin, nel nord della Cisgiordania. Un’operazione pianificata da tempo assieme allo Shin Bet, il servizio di intelligence interna d’Israele. Da almeno un anno, scrive l’analista militare di Yedioth Ahronot Ron Ben-Yishai. Diversi gli obiettivi: arrestare terroristi, distruggerne i centri strategici, requisire armi, proiettili e ordigni. E nel complesso, ripristinare la deterrenza israeliana nel nord della Cisgiordania e in particolare a Jenin. È infatti proprio dal campo profughi – in cui vivono circa ventimila palestinesi – che negli ultimi sei mesi sono state lanciate oltre cinquanta azioni terroristiche con armi da fuoco dirette a colpire Israele.
L’operazione è iniziata con attacchi aerei – prima volta nell’area dai tempi della seconda intifada – e poi con l’ingresso via terra di mezzi pesanti e centinaia di soldati. Alle forze di sicurezza dell’Autorità nazionale palestinese – con cui, con diversi alti e bassi, vige una prolungata cooperazione – è stato detto di lasciare la città. “Nelle ultime ore abbiamo inferto un duro colpo alle organizzazioni terroristiche a Jenin e siamo riusciti a registrare risultati operativi impressionanti”, ha dichiarato il ministro della Difesa Yoav Gallant. Le forze di sicurezza, ha aggiunto, “riceveranno pieno sostegno per fare tutto ciò che è necessario e per operare via terra e aria, al fine di proteggere i cittadini di Israele e preservare la piena libertà di azione in tutta la Cisgiordania”. Non è stato messo un termine all’operazione, ma sui media israeliani si parla della possibilità che duri oltre un giorno.
Il primo obiettivo colpito, secondo quanto dichiarato da esercito (Tsahal) e Shin Bet, è stato un centro di comando situato vicino a due scuole dell’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi. Il sito era “utilizzato da una fazione terroristica locale per controllare l’attività delle sue milizie ed era servito come rifugio ai militanti armati prima e dopo il lancio di attacchi terroristici”, spiegano le autorità.
Tsahal ha finora attaccato più di dieci obiettivi dall’aria, mentre bulldozer blindati sono stati dispiegati nell’area urbana per ripulire le strade e per identificare ed evitare ordigni esplosivi improvvisati. Un ordigno di questo tipo a inizio giugno aveva fortemente danneggiato un mezzo pesante israeliano nel corso di un violento e prolungato scontro a fuoco proprio a Jenin. Allora come oggi, era stata avviata un’operazione antiterrorismo. Ma quella odierna è su una scala decisamente più ampia. Le forze speciali, fa sapere il portavoce dell’esercito Richard Hecht, stanno facendo irruzione nelle case e in alcune ore venti persone sono state arrestate. “La gente era consapevole che probabilmente saremmo entrati a Jenin. – ha dichiarato Hecht ai giornalisti – Ma il metodo di colpire dall’aria, li ha colti di sorpresa”. Il suo collega, Daniel Hagari, altro portavoce militare, ha aggiunto che “il nostro proposito non è occupare il campo profughi”. E ha aggiunto che “questa non è un’operazione contro l’autorità nazionale palestinese, ma contro le organizzazioni del terrore”. Dall’Anp intanto sono arrivate parole di condanna per l’operazione a Jenin, mentre Hamas e Jihad islamica hanno promesso vendetta. A livello internazionale, al momento è la Giordania ad essersi espressa duramente contro Israele, chiedendo alla comunità internazionale di fare pressione perché l’operazione cessi. La missione, riporta il quotidiano Haaretz, era stata annunciata con settimane di anticipo all’alleato Usa. Si è aspettato che finissero le festività e in particolare la celebrazione di Eid al-Adha, conosciuta come la “Festa del sacrificio”.
L’effetto sorpresa dell’attacco via aria ha evitato che si aprissero scontri a fuoco in tutto il campo profughi, spiega Ben-Yishai. “Quasi un migliaio di persone è impegnata a Jenin. Nell’operazione non vengono utilizzati carri armati e il fuoco pesante viene sparato dall’aria, principalmente per la precisione, la capacità di seguire il movimento all’interno del campo e impedire la fuga dei terroristi dai loro nascondigli. – spiega l’analista militare – I droni sono utilizzati principalmente per raccogliere informazioni durante l’operazione e per impedire il movimento dei terroristi all’interno del campo”. Secondo Tamir Hayman, già capo dell’intelligence della Difesa, il punto interrogativo ora è se ci saranno scontri diffusi con terroristi e miliziani sul campo. “Questo non è ancora successo. La buona notizia è che quando non c’è tale attrito il numero delle nostre vittime diminuisce, la cattiva notizia è che senza l’attrito anche il numero di terroristi eliminati è minore. Resta da vedere come si svilupperà”. La terza fase, aggiunge, sarà di raccolta informazioni e non ha un termine predefinito. Ma, spiega Hayman, le autorità dovranno individuare bene le tempistiche per evitare di rimanere arenato sul complicato terreno del campo profughi. In generale l’ex capo dell’intelligence militare suggerisce “di smettere di usare affermazioni come ‘operazione per ripristinare la deterrenza’: il ripristino della deterrenza non è un obiettivo operativo perché non è misurabile. Obiettivi corretti sono logorare il nemico, colpire i laboratori, i militanti. E no, Jenin non è la capitale del terrorismo perché il terrorismo non ha capitale – il terrorismo si trova nei cuori e nelle motivazioni delle persone – non si tratta di un punto che se lo smantelliamo allora abbiamo risolto il problema”.