Jenin, la fine dell’operazione

L’unità scelta Egoz è nata a metà anni Novanta ed è stata istituita nello specifico per combattere l’organizzazione libanese Hezbollah nel Nord. Si è specializzata nell’operare su terreni complessi e nei conflitti a corto raggio. Per questo da tempo è impiegata nel contrasto del terrorismo in Cisgiordania. Egoz è stata una delle componenti principali dell’operazione Break the Wave (rompere l’onda) avviata dall’esercito israeliano a inizio 2022 per rispondere a una escalation di violenza palestinese che aveva provocato la morte di diciotto persone. I soldati dell’unità per mesi hanno compiuto incursioni notturne in Cisgiordania con il compito di sventare potenziali attacchi contro Israele. E sono stati ampiamente dispiegati anche per la maxioperazione avviata due giorni fa a Jenin sempre con l’obiettivo di smantellare cellule del terrore. Sono loro, ad esempio, ad essere entrati – su indicazione dell’intelligence e assieme all’unità Oketz – nella moschea al-Ansari. Qui hanno scoperto che i sotterranei della casa di culto erano stati trasformati in un deposito di armi e in un nascondiglio fortificato ad uso dei diversi gruppi terroristici che operano nel campo profughi. Un esempio, spiegavano i militari, di quanto sia radicata e complessa la rete terroristica a Jenin e del perché fosse necessario un intervento su larga scala. Ora l’esercito si è ritirato dall’area, annunciando di aver smantellato sei impianti di produzione di esplosivi, requisito ingenti quantità di armi e ordigni e arrestato decine di persone. Nei pochi combattimenti a fuoco che ci sono stati, dieci miliziani armati sono stati uccisi. E, nel corso del ritiro, anche un componente dell’unità Egoz: il sergente maggiore David Yehuda Yitzhak. “A nome del popolo di Israele, invio le mie condoglianze alla sua famiglia, ai suoi cari e a tutti gli abitanti di Beit El. – il messaggio del Presidente d’Israele Isaac Herzog – Continueremo a combattere il terrorismo con determinazione e faremo i conti con chi cerca di colpirci”.
Si è quindi arrivati alla fine dell’operazione, ma nel mentre un’altra parte del terrorismo palestinese ha fatto sentire la sua presenza. Da Gaza infatti nella notte sono stati lanciati cinque razzi contro il territorio israeliano. Tutti intercettati dai sistemi antimissile. L’aviazione israeliana ha risposto colpendo alcune postazioni di Hamas. Ma la domanda che i diversi media locali si pongono ora è quale effetto avrà l’ampia operazione a Jenin. Nel breve termine, concordano le analisi, si avrà una diminuzione significativa degli attacchi in Cisgiordania. “Ma le operazioni militari non riusciranno a garantire una quiete a lungo termine”, l’opinione di Amos Harel, analista di Haaretz. Harel evidenzia come, nonostante l’ampio dispiegamento di forze, si sia riusciti per lo più ad evitare il coinvolgimento dei civili negli scontri a fuoco. Un uso cauto della forza da parte dei militari israeliani, scrive la firma di Haaretz, ha evitato vittime al di fuori dei gruppi armati palestinesi. E migliaia di persone, anche nelle 48 ore dell’operazione, sono entrate e uscite dalla città palestinese per andare a lavorare in Israele.
La missione dunque, la valutazione di Harel, dal punto di vista militare è stata un successo. Quello che manca a suo avviso è la possibilità di costruire un percorso diplomatico per stabilizzare nel lungo termine la situazione. Una valutazione condivisa da Amos Yadlin, ex capo dell’intelligence militare, secondo cui su questo dovrebbe ora impegnarsi la leadership israeliana. Per Ben Dror Yemini invece il problema è soprattutto nel campo palestinese. In una sorta di lettera alla popolazione di Jenin, la firma di Yedioth Ahronoth chiede loro di ribellarsi contro i gruppi armati contrastati da Israele. “La vostra lotta, lo sappiamo bene, non è contro l’occupazione israeliana della Cisgiordania. Fareste bene a rendervi conto che siete diventati pedine nelle mani della jihad internazionale e dell’Iran. Sono loro a tirare le fila. Vi hanno aiutato in qualche modo? Al contrario. Ovunque la jihad abbia preso piede, la morte e la distruzione l’hanno presto seguita”, scrive Yemini.