Gerusalemme e Riad sempre più vicine
ma un aereo non basta

Martedì un aereo della Air Seychelles carico di israeliani che tornavano a casa si è trovato in difficoltà e ha dovuto compiere un atterraggio di emergenza nella saudita Gedda prima di proseguire per Tel Aviv. Il ministero degli Esteri israeliano ha dichiarato che i 128 passeggeri hanno trascorso la notte in un hotel del locale aeroporto e sono poi ripartiti l’indomani con un altro velivolo. L’accoglienza, hanno raccontato i passeggeri israeliani, è stata molto positiva e il premier Benjamin Netanyahu ha colto l’occasione per lanciare un altro messaggio di apertura ai regnanti di Riad. 
“Apprezzo molto l’atteggiamento caloroso delle autorità saudite nei confronti dei passeggeri israeliani il cui volo era in difficoltà”, ha scritto Netanyahu sui propri profili social. “Apprezzo molto il buon vicinato”, ha aggiunto. Vicini che il premier non ha mai nascosto di voler trasformare in alleati. 
Nella storia recente dei due paesi, che non hanno rapporti ufficiali, i cieli sono stati teatro d’incontro. Come il 31 agosto 2020 quando il Boeing 737-900 della El Al è entrato nella storia diventando il primo aereo di linea israeliano a collegare direttamente Tel Aviv ed Abu Dhabi. Ma è stato anche il primo a sorvolare lo spazio aereo saudita. Quel volo ha di fatto incarnato la nuova era del Medio Oriente nel solco degli Accordi di Abramo promossi dall’allora amministrazione Trump. Israele da quel momento ha potuto contare su un nuovo alleato nell’area, gli Emirati Arabi Uniti, e ha iniziato a sognare di normalizzare i rapporti anche con il paese più influente del mondo arabo, l’Arabia Saudita. Il benestare al passaggio dell’aereo israeliano era l’inequivocabile, seppur limitato, segnale di un’apertura di Riad verso Gerusalemme.
Due anni dopo ne è arrivato un altro, sempre legato ai cieli: nel luglio 2022 il più grande regno del Golfo ha annunciato l’apertura del suo spazio aereo a tutti i voli da e per Israele. “È un passo importante verso la costruzione di una regione mediorientale più integrata e stabile”, aveva detto il Presidente Usa Joe Biden, anche lui, come il suo predecessore, impegnato a costruire un ponte diplomatico tra lo Stato ebraico e la monarchia wahabita.
Lo scorso luglio, in un’intervista all’emittente Fox, Bibi ha sostenuto che l’accordo con Riad potrebbe essere in vista, a patto che l’Arabia Saudita lo voglia davvero. Secondo il primo ministro, alle prese in patria con la contestazione alla sua riforma della giustizia, giungere a un accordo tra i due Paesi, nel solco degli Accordi di Abramo già siglati con altri Stati arabi, “sarebbe un fatto grandioso”. Anche per via “dei benefici economici e strategici” che ne deriverebbero, oltre al “duro colpo” che si andrebbe ad infliggere al comune nemico Iran. Regime che in tempi recenti ha messo a segno un colpo sgradito a Israele, riallacciando a sua volta le relazioni diplomatiche con Riad interrotte nel 2016 dopo l’esecuzione di un clerico sciita, Nimr Al-Nimr, da parte della giustizia saudita.
Fonti del Financial Times spiegano che l’amministrazione Biden è fortemente impegnata a cercare di costruire questa intesa da portare in dote alle elezioni presidenziali del 2024. Alti funzionari Usa, sentiti dal settimanale britannico, danno comunque le possibilità di successo della Casa Bianca sotto al cinquanta per cento.
Intanto però qualcosa si muove nel complesso intreccio diplomatico e lo racconta il Wall Street Journal. Il giornale in queste ore riporta che il principe ereditario Mohammed bin Salman, considerato l’uomo forte di Riad, ha per la prima volta offerto di rinnovare gli aiuti sauditi – congelati nel 2016 a causa di accuse di corruzione – all’Autorità nazionale palestinese. Lo ha fatto nel corso di un recente incontro con il presidente dell’Anp Mahmoud Abbas. La proposta, riferiscono le fonti saudite e palestinesi del WSJ, sarebbe “un segno dello sforzo saudita di superare gli ostacoli e stabilire relazioni diplomatiche con Israele”. Avere il benestare di Abbas – la cui popolarità tra i palestinesi è però da tempo in però da tempo in caduta libera – servirebbe a dare legittimità a qualsiasi intesa Riad voglia mettere in piedi con Gerusalemme, fornendo protezione dalle possibile critiche del resto del mondo arabo. 
Bin Salman, riferisce sempre il WSJ, avrebbe promesso la ripresa dei finanziamenti all’Anp se Abbas sarà in grado di contenere i gruppi terroristici in Cisgiordania, ripristinando la propria autorità su quest’area. Il leader saudita avrebbe anche promesso che qualsiasi accordo con Israele non danneggerà gli sforzi per la creazione di uno Stato palestinese. Resta però aperto l’interrogativo se l’attuale governo di Gerusalemme aprirà al progetto saudita per uno stato palestinese. Se l’amministrazione Biden preme in questa direzione, alcuni ministri israeliani – tra gli altri il nazionalista religioso Bezalel Smotrich (Finanze) si sono già detti contrari. Alcuni commentatori israeliani aprono a possibili scenari alternativi: Netanyahu, che con un’intesa con i sauditi entrerebbe nella storia, potrebbe immaginare di scaricare i suoi alleati più oltranzisti per costruire una coalizione più centrista. Uno scenario difficile da immaginare considerando i feroci contrasti di questi mesi tra maggioranza e opposizione. 
Quindi, sottolinea Felicia Schwartz del Financial Times, la normalizzazione alla fine “non ci sarà, ma credo che il fatto che si parli di questa possibilità sia già di per sé straordinario”.