GUERRA – L’eroismo di Ilay, tifoso della Juve e del Maccabi
“Io non la lascio. La devo proteggere. Rimango qui a proteggere lei e lo Stato d’Israele. Qualunque cosa accada, non la lascio sola”. Fino all’ultimo istante Ilay Bar Sadeh è rimasto al fianco di Naama Boni. Lui soldato dell’unità scelta Golani, 13° battaglione, lei in servizio nel 77° battaglione del Corpo corazzato. Entrambi avevano 19 anni e lo scorso 7 ottobre si trovavano alla base di addestramento Bahad 4, nell’area di Zikim, poco più di un chilometro dalla Striscia di Gaza. Qui sono stati assassinati dai terroristi di Hamas. “Lei era di guardia. Non aveva esperienza ed era disarmata”, spiega a Pagine Ebraiche lo zio di Ilay, Shlomi Sofer. “Quando Ilay ha sentito i primi spari è subito corso per difendere la base, dove c’erano per lo più reclute senza esperienza. Con altri suoi commilitoni ha iniziato a rispondere al fuoco dei terroristi. Erano in pochissimi ad avere un addestramento per combattere.“. Naama non era tra questi e Ilay ha cercato di proteggerla dall’avanzata degli uomini di Hamas. Dopo aver coperto altri soldati, il giovane Golani è rimasto al fianco della soldatessa. Anche quando uno dei suoi comandanti gli ha ordinato – quasi supplicato, ha raccontato un compagno – di arretrare per trovare riparo, lui ha risposto di no. “Ha detto che il suo compito era proteggerla. È rimasto lì con lei, sparando fino all’ultimo proiettile a disposizione”, racconta lo zio. Nel mentre Naama al cellulare aveva scritto agli amici: “Ho tanta paura per tutti voi. Ho una ferita alla testa e un terrorista nelle vicinanze potrebbe spararmi. Ora sono con un soldato ferito della Brigata Golani e non ci sono rinforzi a disposizione”.
Erano le 7.30 della mattina del 7 ottobre e da lì a poco lei e Ilay sarebbero stati uccisi. L’intera base sarebbe poi caduta sotto l’attacco nemico.
“In un contesto di impreparazione e sorpresa, mio nipote si è comportato da eroe. Ha avuto coraggio e i suoi compagni chiedono che il suo gesto non venga dimenticato”, riprende Sofer con voce calma, ma ferma. È arrabbiato con l’esercito e con il governo per le innumerevoli falle nella sicurezza. “Ma ci sarà il tempo della resa dei conti. Ora dobbiamo restare uniti e combattere”. Poi tratteggia un ricordo di Ilay. “Un ragazzo sempre disponibile con tutti, pronto a dare una mano nel momento del bisogno. E lo ha dimostrato fino all’ultimo. Era bravo a scuola, bravissimo atleta, tifosissimo del Maccabi Tel Aviv di basket e sostenitore della Juventus”. Ad introdurlo al tifo per la squadra bianconera era stato proprio lo zio. “Io vivo tra Torino e Israele con mia moglie Stefania, e negli anni ho portato allo stadio i miei nipoti. Era una specie di tradizione. Ad ogni bar mitzvah andavamo a vedere una partita della Juve. Ilay continuava a seguire la squadra anche da lontano e mi chiedeva aggiornamenti”. Nel momento del dolore, Sofer ha provato a contattare la Juventus per un gesto di solidarietà nei confronti del nipote assassinato dai terroristi. “Per il momento non ho avuto risposta”, rileva. Dal Maccabi Tel Aviv, invece, la vicinanza alla famiglia non è mancata, con il cordoglio espresso ai genitori di Ilay, Uzi e Limor.
Per Sofer dimostrare solidarietà oggi a famiglie come la sua non è un dato scontato. “Ilay e gli altri non sono solo numeri. Non sono solo vittime. Sono persone con sogni e prospettive stroncate dalla ferocia di Hamas. Quello che abbiamo subito è disumano, è una catastrofe”. Impossibile dimenticare, aggiunge, “l’immagine al funerale di Ilay. C’erano almeno cento buche ancora da riempire in un solo cimitero. Un genocidio”.