ISRAELE – A Parigi si negozia il cessate il fuoco Netanyahu presenta il piano per il dopo Hamas

A Parigi si incontrano in queste ore il capo del Mossad, David Barnea, il direttore della Cia, William Burns, il primo ministro del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim al-Thani, e Abbas Kamel, capo dell’intelligence egiziana. A loro sono affidate le trattative per un possibile accordo che porti alla liberazione degli ostaggi ancora in mano a Hamas e a un cessate il fuoco a Gaza. Da Gerusalemme è arrivato ieri un sì unanime del gabinetto di guerra al ripristino delle trattative. Un via libera deciso dopo la conferma che ai rapiti sono stati consegnati i medicinali inviati settimane fa con la mediazione del Qatar. “Ci sono i primi segni che indicano la possibilità di progressi”, aveva preannunciato mercoledì il ministro Benny Gantz. In particolare Hamas ha moderato alcune sue richieste, definite “deliranti” dal premier Benjamin Netanyahu. I terroristi avevano chiesto il rilascio di migliaia di detenuti palestinesi, tra cui centinaia di ergastolani, la fine della guerra e il completo ritiro dell’esercito in cambio della liberazione degli ostaggi. Condizioni inaccettabili per Gerusalemme, che hanno portato al congelamento delle trattative, ora riprese nella capitale francese. Alla base dei negoziati la proposta di sei settimane di stop ai combattimenti in cambio del rilascio della seconda parte degli ostaggi. Si tratta di 134 persone. Secondo Israele 30 non sono più in vita.
Se il canale riaperto a Parigi dovesse fallire, ha avvertito Gantz, Tsahal è pronta ad avviare l’operazione a Rafah, ultimo bastione di Hamas nella Striscia. Il termine posto dall’ex capo dell’esercito è l’inizio del mese di Ramadan (10 marzo). “Se non ci sarà un accordo, continueremo ad operare anche durante il Ramadan”, ha chiarito. All’operazione a Rafah però si oppongono gli Stati Uniti. Il principale alleato d’Israele chiede un piano di evacuazione su larga scala per la città, dove dall’inizio della guerra sono confluiti centinaia di migliaia di civili.
Per il momento il primo ministro Netanyahu ha presentato un piano, ma riguarda il giorno dopo la guerra. È un progetto di massima su come sarà Gaza dopo l’auspicata vittoria su Hamas. Tra i punti principali, elencati nella notte da Netanyahu al suo gabinetto, la consegna della gestione amministrativa dell’enclave a “funzionari locali” con “esperienze manageriali”. Questi funzionari “non devono essere identificati con Stati o organizzazioni che sostengono il terrorismo e non devono ricevere stipendi da questi”. La gestione della sicurezza sarà mantenuta da Israele, libero di operare per spegnere eventuali focolai di terrorismo.
Nel documento, riportato dai media locali, si parla poi della chiusura permanente dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, l’Unrwa, al centro di diversi scandali. L’ultimo, la partecipazione di alcuni suoi dipendenti alle stragi del 7 ottobre. Per questo Netanyahu vorrebbe sostituirla con un nuovo organismo internazionale che si occupi della questione palestinese. Per il premier poi “la ricostruzione di Gaza sarà possibile solo dopo che la Striscia sarà stata smilitarizzata e sarà iniziato un processo di deradicalizzazione”. Inoltre la ricostruzione “sarà realizzata con finanziamenti e sotto la guida di Paesi che Israele approva”.
Non viene citato né escluso il coinvolgimento dell’Autorità nazionale palestinese, che però ha respinto il piano. “È una rioccupazione ufficiale della Striscia di Gaza”, ha sostenuto il ministero degli Esteri dall’Anp in una nota. Per Ramallah, la proposta Netanyahu rappresenta “una palese manovra per ostacolare gli sforzi americani e internazionali per collegare la cessazione della guerra e il rilascio di prigionieri e ostaggi alla risoluzione del conflitto e alla realizzazione dello Stato palestinese”.

(Nell’immagine, il capo del Mossad David Barnea, il ministro della Difesa Yoav Gallant, il capo dello Shin Bet Ronen Bar e il capo di stato maggiore Herzi Halevi)