LIBRI – La sorprendente attualità delle lettere di Zweig

Nel 1958, dieci anni dopo la fondazione dello Stato d’Israele, David Ben Gurion chiese a cinquanta fra intellettuali e rabbini cosa significasse per loro “essere ebrei”. In quella lista avrebbe potuto benissimo esserci Stefan Zweig, uno dei più grandi scrittori del Novecento, se la disperazione per il crollo di quel “mondo di ieri” di cui era stato testimone e cantore non l’avesse portato, 16 anni prima, al suicidio. Per ipotizzare una sua possibile risposta non resta allora che sfogliare la straordinaria antologia di 120 Lettere sull’ebraismo vergate dallo scrittore, drammaturgo e giornalista nato a Vienna nel 1881. Lettere curate dallo storico e archivista israelo-tedesco Stefan Litt e pubblicate in Italia dall’editore Giuntina.
Da Martin Buber ad Albert Einstein, da Sigmund Freud a Chaim Weizmann: questo è il livello dei destinatari delle lettere di Zweig, per la gran parte inedite. Chissà, forse alla domanda di Ben Gurion avrebbe risposto con qualcosa del genere: “Per me la storia dello spirito ebraico non è quella di un’emanazione tranquilla, bensì quella di un’eterna rivolta contro la realtà: io credo anche che la forza del nostro popolo non sia l’organizzazione, la costruzione di un’essenza interiore, bensì la discussione, l’incessante alternanza di sì e no dell’intero essere ed essenza” (giugno 1917). Oppure: “Politicamente vedo il compito degli ebrei nello sradicare il nazionalismo in tutti i paesi, ancor più nel favorire il legame con lo spirito puro” (luglio 1920). O magari invece: “Credo che ciò che è ebraico e ciò che è umano debbano rimanere sempre identici” (febbraio 1937). E chissà cosa avrebbe detto di Israele e del miracolo della sua esistenza, impensabile in quel tragico 1942 in cui – rifugiato in Brasile, lontano dall’amata Europa in fiamme – si tolse la vita insieme alla sua seconda moglie, Charlotte Elizabeth Altmann. Il sionismo, nonostante un’iniziale adesione, non lo accese di particolari entusiasmi. Anche se, come ricorda Litt, il suo caporedattore alla Neue Freie Presse dei primi scritti giovanili era stato nientemeno che il fondatore del movimento Theodor Herzl, che lo ebbe in grande stima (ricambiata). Un’amicizia che lasciò il segno e che viene oggi da chiedersi come avrebbe rielaborato in anni più maturi, alla luce di tutto quel che successe negli anni subito successivi alla sua morte: la distruzione del “suo” mondo, i sei milioni di ebrei assassinati nella Shoah, la nascita di uno Stato ebraico. Zweig non sarà stato un fervente sionista ma da una lettera all’amico Victor Fleischer del luglio del 1904 apprendiamo dello sconforto che lo colse alla notizia della morte di Herzl: “Ha gettato una pietra pesante sulla mia gioia: tu sai che l’ho amato e venerato molto”. Mentre è del 29 agosto del 1939 la sua più tragica lettura degli eventi, in una missiva inviata al critico letterario e traduttore dallo yiddish Joseph Leftwich (nato Lefkowitz): “La cosa peggiore di questa guerra sarebbe ciò che gli ebrei dovrebbero sopportare nel caso di un’invasione tedesca della Polonia – è impensabile, meglio qualunque cosa che questo!”. Il progetto di questa antologia, un meraviglioso dono a tutti gli appassionati di Zweig, nasce nell’estate del 2016. Fu allora infatti, racconta Litt, che la signora Hanna Jacobson di Bat Yam contattò la Biblioteca nazionale di Israele e si offrì di consegnare più di 30 lettere e cartoline di Zweig “indirizzate a un giovane di nome Hans Rosenkranz, oggi pressoché dimenticato”. Rosenkranz, capo della casa editrice J.M. Spaeth di Berlino negli anni ’20 e ’30 del Novecento, “era il patrigno della signora Jacobson e aveva corrisposto per dodici anni con Zweig durante la sua giovinezza”. La ricerca non era all’oscuro di queste lettere, anche se non ne esisteva una descrizione dettagliata e nemmeno un’edizione completa. Ne è nato un libro “di attualità scioccante”, in un momento in cui, sottolinea il curatore, “con il plauso di una parte della società stanno affiorando in superficie idee apertamente razziste e antisemite che fino a poco tempo fa sembravano appartenere a un lontano passato”.