ISRAELE – Missili dal Libano uccidono al nord La testimonianza di Amit, abusata dai carcerieri di Hamas
Zahar Bashara, druso di 25 anni, lavorava come autista per un impianto industriale di Kiryat Shmona, nel nord d’Israele. Residente del villaggio Ein Qiniyye, sulle alture del Golan, Bashara «era amato e benvoluto da tutti. Sempre disponibile ad aiutare», ha raccontato una sua collega a ynet. Il giovane è stato colto di sorpresa questa mattina presto da una raffica di trenta missili lanciata dai terroristi di Hezbollah. L’edificio in cui si trovava è stato centrato e i soccorritori sono riusciti a tirarlo fuori quando ormai era troppo tardi. «Suo padre è morto sette anni fa e da allora Zahar era diventato la spina dorsale della famiglia. Lavorava duramente per provvedere al sostentamento dei fratelli e tutti avevano fiducia in lui», ha sottolineato un cugino in un’altra intervista.
Zahar diventa così l’ultima vittima dello scontro perenne tra Israele e Hezbollah. Prima dei trenta missili, Tsahal aveva colpito in territorio nemico, uccidendo in Libano sette terroristi di una milizia palestinese. Secondo le informazioni dell’esercito, il gruppo stava progettando un attacco contro soldati e civili israeliani. La preoccupazione costante è che lo scontro sul fronte nord si trasformi in guerra aperta. Per calmare le acque servirebbe un’intesa. Secondo il portavoce militare Daniel Hagari: «Un accordo sugli ostaggi a Gaza potrebbe portare a un accordo anche in Libano». Ma Hamas ha fermato i negoziati sui rapiti, respingendo una proposta americana e chiedendo a Gerusalemme una tregua permanente con il ritiro dell’esercito.
A 173 giorni dall’inizio della guerra per i 136 ostaggi imprigionati a Gaza, di cui 98 ancora in vita, nulla dunque sembra muoversi. A scuotere ulteriormente l’opinione pubblica israeliana è la testimonianza di Amit Soussana, una degli ostaggi liberati. Al New York Times la donna ha raccontato di essere stata costretta dal suo carceriere «a compiere atti sessuali con una pistola puntata alla testa». Al quotidiano americano Soussana ha ricordato di essere stata tenuta in ostaggio nella camera di un bambino a Gaza con una catena attaccata alla caviglia sinistra. Il terrorista di Hamas incaricato di sorvegliarla, le si sedeva accanto sul letto, le sollevava la camicia e la palpeggiava. Fino al giorno in cui le ha puntato la pistola contro.
La donna ha raccontato anche il dilemma morale di accettare del cibo dal proprio abusatore. «Non puoi sopportare di guardarlo, ma devi farlo», ha spiegato al Times. “È lui che ti protegge. È la tua guardia. Sei lì con lui e sai che in qualsiasi momento può succedere di nuovo. Dipendi completamente da lui».
«Amit Soussana parla per tutti coloro che non possono parlare. Parla per tutte le vittime degli spregevoli crimini e abusi sessuali di Hamas. Parla per tutte le donne di tutto il mondo», ha commentato il presidente d’Israele Isaac Herzog. «Il mondo intero ha il dovere morale di stare dalla parte di Amit – e di tutte le vittime – nel condannare il brutale terrore di Hamas e nel chiedere l’immediata liberazione di tutti gli ostaggi».