ISRAELE – La guerra pesa sul Pil

Il 2023 a febbraio l’agenzia internazionale di rating Moody’s ha declassato l’affidabilità del sistema creditizio israeliano da A1 ad A2. Inoltre ha definito l’outlook, la previsione sul futuro, “negativo”. C’è quindi il rischio di ulteriori riduzioni del rating se la situazione economica, geopolitica e di sicurezza del paese dovessero ancora peggiorare. Prima d’ora Israele non aveva mai subito un declassamento. A incidere in maniera sostanziale è stato il conflitto con Hamas.
Secondo Moody’s la guerra e le sue conseguenze «aumentano materialmente il rischio politico per Israele e indeboliscono le sue istituzioni esecutive e legislative così come la sua forza fiscale per il prossimo futuro». A preoccupare è sia il protrarsi della guerra, con l’incognita di una tregua e il rischio di una escalation nel nord, sia la capacità del governo di Benjamin Netanyahu di rispondere a questa nuova fase economica.
Il downgrade di Moody’s «non è correlato all’economia, ma interamente dovuto al conflitto». Il rating, ha reagito il premier, «tornerà su appena vinceremo la guerra. E la vinceremo». Il suo ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, ha accusato l’agenzia internazionale di aver agito per motivi politici. Gli esperti temono per gli effetti concreti del downgrade.
«Renderà più costosi il debito e gli interessi. Questo andrà a discapito di servizi importanti per ogni cittadino», ha spiegato l’economista Yarom Ariav, già direttore generale del ministero delle Finanze. A questo si aggiunge l’aumento delle spese per la difesa a causa della guerra, bilanciato da una compressione della spesa per i servizi pubblici (assistenza sanitaria, istruzione, welfare e investimenti in infrastrutture).
Nel complesso Israele ha chiuso l’anno in crescita, con un aumento del Pil del 2% nel 2023 rispetto al 2022. Ma si tratta di una media: nell’ultimo trimestre del 2023, il Pil si è contratto del 5,2% rispetto ai tre mesi precedenti. Un passo indietro, segnala l’Ufficio centrale di statistica, che a febbraio ha messo in fila alcuni numeri. Gran parte della flessione è stata causata da un calo del 26,9% dei consumi privati nel periodo ottobre-dicembre, da una forte diminuzione del 42,4% delle importazioni di beni e servizi, da un calo del 18,3% delle esportazioni e da un calo del 67,8% degli investimenti in attività fisse, soprattutto nell’edilizia residenziale. Nel frattempo, la spesa pubblica è aumentata dell’88,1% a causa dei costi della guerra.
«Ha ragione chi sostiene che non siamo responsabili di questa situazione economica desolante. La guerra ci è stata imposta», ha scritto sul sito Globes l’economista Dror Marmor. Ma ora la politica deve dare risposte, prendendo di petto anche problemi pregressi, sostiene Marmor. Come la condizione del settore haredi, per lo più esentato dal servizio militare e con un alto tasso di inoccupati. Incentivare il loro ingresso nel mercato del lavoro, sottolinea l’economista, è importante a prescindere, ma soprattutto in un paese costretto dalla guerra ad aumentare le spese e di conseguenza le tasse. In ogni caso, conclude Marmor, la politica non deve sottovalutare le valutazioni delle agenzie di rating, ma apportare importanti correttivi.

(Nell’immagine: la Banca centrale d’Israele)