ARGENTINA – Milei, il presidente con la mezuzah

«Il rapporto del presidente Javier Milei con l’ebraismo e Israele sta ricevendo una straordinaria attenzione da parte dei media e dei social network. Si tratta di un governo insediato da poco e dobbiamo aspettare di vedere come si evolve questo legame. Milei ha espresso un sostegno incondizionato a Israele nella guerra contro Hamas. Questo ci sembra importante». Da presidente della Daia (Delegación de Asociaciones Israelitas Argentinas), la principale organizzazione ebraica argentina assieme all’Amia, Jorge Knoblovits si esprime con cautela con Pagine Ebraiche sul nuovo capo dello stato. I suoi gesti nei confronti del mondo ebraico e d’Israele sono apprezzati, ma il paese sta vivendo un periodo economico molto difficile e ogni giudizio sul suo operato è sospeso.
C’è chi nella comunità ebraica argentina – con 250mila membri una delle più grandi della diaspora – vede il suo interessamento all’ebraismo e allo stato ebraico come genuino e positivo, altri lo definiscono opportunistico e pericoloso. Intanto Milei, dopo aver pensato alla conversione, ha iniziato a compiere gesti simbolici. Appena entrato nella Casa Rosada, ha apposto una mezuzah (piccolo rotolo di pergamena con i due primi versetti dello Shemà) nel suo ufficio. Ha indicato come prossimo ambasciatore d’Israele il rabbino ortodosso Axel Wahnish, con cui ha iniziato il suo percorso di studi dei testi biblici. Sbarcato all’aeroporto Ben Gurion, ha poi annunciato che sposterà l’ambasciata argentina da Tel Aviv a Gerusalemme. Nella capitale israeliana, visibilmente emozionato, ha pregato al Kotel (Muro occidentale).
«Su Milei gli ebrei sono molto divisi. C’è chi lo sostiene, ma molti sono preoccupati per l’uso che fa delle scritture e dei simboli dell’ebraismo. Si è avvicinato alla corrente ortodossa, minoritaria in Argentina, e il timore è che la usi in modo distorto per giustificare la sua visione del mondo ultraconservatrice», spiega a Pagine Ebraiche la sociologa Ruth Salomé Grunblatt. Lei è tra chi non si fida delle iniziative dell’ultraliberista Milei. «Ha appena chiuso l’Agenzia nazionale che si occupa di contrasto alle discriminazioni, al razzismo e all’antisemitismo. In un momento come questo, in cui la retorica propalestinese è diventata sempre più aggressiva e pericolosa, è un danno evidente. Il presidente ha giustificato la chiusura come parte di misure di austerità, ma l’agenzia era parte integrante dell’azione di tutela dell’incolumità degli ebrei argentini».
Da oltre 100 anni, riprende Knoblovits, le istituzioni ebraiche «svolgono un ruolo fondamentale nella società argentina. Attualmente, di fronte alla crisi e all’antisemitismo generato dai massacri di Hamas, la Daia ha raddoppiato gli sforzi per mantenere attiva la vita ebraica». Anche qui la ferita del 7 ottobre si fa sentire. Molti ostaggi, tra cui la tristemente celebre famiglia Bibas, sono di origine argentina. «Al governo abbiamo chiesto chiesto di fare pressione per la loro liberazione», afferma il presidente della Daia.
Ma Buenos Aires può fare poco a livello diplomatico, commenta al quotidiano Clarin il giornalista israelo-argentino Pablo Méndez Shiff. «L’Argentina non pesa nel conflitto. Se il presidente Usa Joe Biden dichiara che Hamas è terrorista, ha un effetto. Se lo fa Milei, è un fatto simbolico. Non ha alcun impatto sullo scacchiere geopolitico. Se sposta l’ambasciata, non ha alcun impatto reale».
L’impatto al momento le hanno le sue riforme economiche, anche se in parte bocciate in Parlamento. Aver ridotto la spesa pubblica in diversi settori ha avuto i suoi risultati e a gennaio il paese ha registrato il primo avanzo finanziario da 12 anni a questa parte. «Ma a che prezzo? – si chiede Grunblatt – Sono stati tolti sussidi e medicine ai malati. Le mense dei poveri non hanno sovvenzioni, così come i trasporti. La classe media è sparita e il paese è in una crisi nera». Sulla possibilità che povertà e rabbia sociale si trasformino in ondate di antisemitismo, la sociologa non è sicura. «Qui non è come in altri paesi. Dipende da come Milei gestirà il suo rapporto con il mondo ebraico. È un uomo rabbioso e imprevedibile, tutto potrebbe accadere con lui. Per me usa ebrei e Israele per posizionarsi nel mondo sul filone di Donald Trump e di quel tipo di destra populista».
Tra le sue posizioni controverse c’è il giudizio storico molto blando sulla dittatura argentina. “Come Daia – afferma Knoblovits – siamo impegnati nel conservare la memoria e nella ricerca della verità e della giustizia. Lavoriamo per denunciare e fermare in tempo le tentazioni autoritarie di alcuni che desiderano un passato senza diritti né libertà e pieno di violenza e odio». Di questo impegno, aggiunge il rappresentante dell’ebraismo argentino, fa parte anche la richiesta di giustizia per gli attentati all’Amia del 1994 in cui furono assassinate 84 persone. Dietro la strage, i magistrati argentini da anni hanno riconosciuto la mano di Hezbollah e del governo iraniano. «Teheran rifiuta di collaborare, ma noi continueremo a chiedere giustizia. – afferma Knoblovits – E lo faremo in tutte le sedi internazionali». Una perseveranza, conclude, che tocca tutti gli aspetti della vita ebraica. «Con Milei o senza – chiosa Grunblatt – anche nel dolore del 7 ottobre, dobbiamo ripensare alle nostre strategie e dimostrare, come abbiamo sempre fatto nei secoli, che rimarremo qui per difendere i nostri valori».
Daniel Reichel