BOLOGNA – Piccola ma centrale,
la comunità felsinea si apre a quelle vicine

Parte da una premessa l’architetto Daniele De Paz, presidente della Comunità ebraica di Bologna dal 2013 e al suo terzo mandato: «La nostra è una Comunità piccola, che nonostante le sue dimensioni ha realizzato da tempo un percorso virtuoso nelle relazioni con la città. E questo è anche il frutto di una storica presenza ebraica molto più florida di oggi». Fino alla fine del ‘500 Bologna era una città ebraica di tradizione, con scuole e rabbini di fama. Poi, per volontà papale, «questa tradizione scompare per circa 300 anni, in cui sembra che la Bologna ebraica si sia estinta». La Comunità, riprende De Paz, «rinasce verso la fine dell’Ottocento, con qualche reminiscenza del passato». Nonostante i numeri limitati del presente «la nostra è una realtà vivace, anche grazie ad alcuni meccanismi virtuosi utili a far ripartire partecipazione che si era in parte arrestata, coinvolgendo anche i tanti studenti israeliani di stanza in città».
La vita della Bologna ebraica non è solo sinagogale, ma è fatta anche di momenti conviviali che ruotano comunque attorno agli edifici comunitari. «Da un anno a questa parte abbiamo introdotto il pranzo dello Shabbat: partecipa chi viene alle tefillot, ma si può arrivare anche in un secondo momento: si mangia insieme, si scambiano idee e e si ascolta una lezione sulla parashah». Questa e altre iniziative analoghe hanno spinto la Comunità a candidarsi come guida del progetto sostenuto dall’Ucei “Reshet-Rete”, per aggregare Comunità vicine prive di un rabbino. L’unione fa la forza, spiega De Paz, sottolineando l’impegno a rafforzare le relazioni fra Comunità «che distano tra loro 30, 40 minuti di auto».
Oltre a quelli di Bologna, il progetto si rivolge agli iscritti di Ancona, Ferrara, Mantova, Modena, Parma e Verona e si sviluppa su due piani intrecciati. Il primo consiste in un percorso conoscitivo, sociale e soprattutto socializzante. Il secondo invece è più di tipo culturale. Un obiettivo di fondo, indica De Paz: «Rigenerare l’ebraismo di questi territori attraverso azioni concrete». Un investimento riguarda in particolare le nuove generazioni: «Le piccole comunità hanno un numero limitato di giovani, quindi bisognerà cercare di riunirli, per poter creare un contesto ebraico adatto».
Reshet, avviato in settembre, sta dando i suoi primi frutti: «Al seder di TuBishvat eravamo 80 persone!». Dietro al progetto c‘è Marco Del Monte, responsabile bolognese del culto, «che stiamo sostenendo nel suo percorso per diventare rav» e di cui De Paz loda «la preparazione e la cultura, ma anche la disponibilità umana assai preziosa». I risultati non stanno arrivando per caso «ma sono il frutto di esperienze avviate nei precedenti mandati, come l’apertura del nuovo Tempio piccolo, che ha dato nuovo senso di appartenenza agli iscritti». In sinagoga ogni sabato «il minian è garantito, il centro sociale funziona e forse riusciremo a riproporre un asilo e un Talmud Torah».
Anche il rapporto con le istituzioni è solido malgrado alcuni screzi recenti con il Comune e l’Università per come stanno affrontando i fatti di Gaza e del Medio Oriente. «La mia linea», sottolinea De Paz, «è quella di cercare un rapporto costruttivo, ma parlando sempre in modo chiaro». Nel 2021 la Comunità ebraica ha firmato un protocollo per l’istituzione di una “Casa dell’incontro e del dialogo tra religioni e culture”. Quel progetto è rimasto per il momento incompiuto. Ma, esorta De Paz, «deve ripartire al più presto: una cabina di regia su questi temi è oggi più che mai utile e necessaria per evitare le improvvisazioni». Il rapporto con la città si manifesta anche al Memoriale della Shoah nei pressi della stazione ferroviaria, fortemente voluto dallo stesso De Paz, dove con regolarità si organizzano incontri e rassegne. Oppure preso gli spazi del Museo ebraico, inaugurato nel 1999, «che è a tutti gli effetti l’hub di comunicazione tra la città e la Comunità, un’interfaccia di grande importanza».

(Foto: Michele Levis)