TORINO – In marcia per Emanuele Artom, 80 anni dopo
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Il 7 aprile di 80 anni fa si concludeva la vita del partigiano ebreo Emanuele Artom, morto sotto tortura nelle carceri di Torino dopo oltre una settimana di sevizie.
Lo ricordano le Comunità ebraiche di Torino, Vercelli e Casale Monferrato, insieme alla Comunità di Sant’Egidio, nel dare appuntamento a una nuova edizione della marcia in memoria di Artom che si terrà quest’anno la mattina del 9 aprile con partenza alle 11 dalla stazione di Porta Nuova, presso la lapide dedicata ai deportati al binario 17. Il corteo si muoverà poi alla volta della scuola ebraica, intitolata proprio ad Artom, per concludersi in piazzetta Primo Levi davanti alla sinagoga, dove sono previsti gli interventi di autorità, rappresentanti della Comunità e delle scuole.
Artom aveva 28 anni, era commissario politico di “Giustizia e Libertà” nella Val Pellice e Val Germanasca e SS italiane l’avevano catturato pochi giorni prima durante un rastrellamento in montagna. Il suo destino, a quel punto, era segnato. Ma anche per Artom vale quel che avrebbe fatto scrivere Piero Calamandrei sulla tomba dei fratelli Carlo e Nello Rosselli nel cimitero fiorentino di Trespiano: «Giustizia e Libertà, per questo morirono, per questo vivono».
Sono le pagine del diario scritto da Artom a tenerlo ancora “in vita”. Pubblicato per la prima volta nel 1966 grazie alla madre Amalia Segre e all’allora direttrice della Fondazione Cdec Eloisa Ravenna, il diario è ritenuto una delle più importante testimonianze su quel periodo storico. Un documento eccezionale della guerra partigiana perché dà «una rappresentazione immediata, senza abbellimenti retorici, senza riflessioni postume, della vita di una piccola banda», sosteneva tra gli altri Norberto Bobbio. Un diario che insegna anche a guardare «verso il futuro», come chiedono gli organizzatori della marcia.
Lo scorso anno il presidente della Comunità ebraica torinese Dario Disegni aveva evocato un insegnamento prezioso di Artom: «Se non ci facciamo una coscienza politica non sapremo governarci. E un popolo che non sa governarsi cade necessariamente sotto il dominio straniero o sotto la dittatura dei suoi».
(Nell’immagine: l’iniziativa per Emanuele Artom dello scorso anno)