ROMA – Propaganda antisemita, una mostra svela i codici dell’odio

Mette a confronto la propaganda antisemita del fascismo e del nazismo la mostra “La razza nemica” allestita alla Fondazione Museo della Shoah di Roma a cura dello storico Marcello Pezzetti. Al centro, gli stereotipi e le interpretazioni distorte di fatti storici e politici mirate allo sviluppo di una visione degli ebrei come di «un nemico pericoloso da combattere e infine da eliminare fisicamente». La mostra, già proposta nel 2017, torna ora a disposizione del pubblico alla Casina dei Vallati in un momento in cui nuove parole d’odio lasciano un segno nella società.
«Succede oggi che a giornalisti o scrittori ebrei non venga concesso di parlare», ha accusato il presidente della Fondazione Museo della Shoah Mario Venezia, denunciando la gravità di quanto sta succedendo persino nei luoghi deputati al sapere come scuole e università. «Noi sappiamo che le parole sono pietre e possono diventare pallottole. E sappiamo anche che ci sono mandanti ed esecutori», aveva detto in precedenza la vicepresidente della Comunità ebraica romana Antonella Di Castro, parlando di «manifestazioni sedicenti per la pace» caratterizzate da «violenza inaudita» e di accademici che «giustificano» quanto sta avvenendo.
Moderati da Claudia Conte, giornalista e attivista per i diritti umani, sono poi intervenuti Pezzetti, la vicepresidente del Memoriale della Shoah milanese Milena Santerini e la giornalista Francesca Nocerino. «Questa mostra è importante perché lavora sull’immaginario e noi oggi siamo immersi nell’immagine, che ha talvolta più forza delle parole», ha spiegato Santerini, prima di iniziare una riflessione sulla propaganda antisemita di oggi tra «disumanizzazione e cospirazione».
Elementi nuovi e vecchi si fondono. Nella mostra, Pezzetti ricorda che il fascismo fu il primo regime dell’Europa occidentale «a usare in forma massiccia la propaganda, sfruttando ogni forma più moderna di comunicazione per influenzare e plasmare l’opinione pubblica». E che già prima della trasformazione in dittatura aveva saputo utilizzare «in maniera particolarmente efficace» la stampa. Sulle pagine del Popolo d’Italia, ma anche in quelle delle pubblicazioni locali. Con le leggi sulla soppressione della stampa libera era poi arrivato il monopolio di fatto e l’apparato propagandistico diventava «sempre più centralizzato ed efficace». Con la promulgazione delle leggi razziste, nell’autunno del 1938, le prime vittime di quella «efficacia» furono gli ebrei.