SPORT – La leggenda del calcio iraniano
si schiera con Israele
«Siamo l’Iran, non la Repubblica islamica»

«Siamo l’Iran, non la Repubblica islamica». È una rivendicazione coraggiosa quella che l’ex leggenda del calcio iraniano Ali Karimi ha scritto ieri sul proprio profilo su X (l’ex Twitter), accompagnando lo status con l’immagine di due mani che si stringono: una con i colori della bandiera iraniana; l’altra con quelli della bandiera israeliana. Tutto il contrario, insomma, di quel che auspica il regime di Teheran.
Ali Karimi, 45 anni, in attività era conosciuto come il «Maradona d’Asia». Un talento mai banale, capace di giocate sopraffine che avevano impressionato i grandi club europei e in particolare la dirigenza del Bayern Monaco, con cui a metà degli anni Duemila ha vinto un campionato tedesco e una Coppa di Germania. Dopo ben 125 presenze e 39 goal in nazionale, dopo il titolo di calciatore asiatico ottenuto nel 2004 e molti altri riconoscimenti, Ali Karimi conferma di essere un “campione” anche fuori dal campo. Quantomeno di coraggio, come ha più volte dimostrato in questi anni con ripetute prese di posizione a favore dei manifestanti anti-regime. Nel 2023, dopo una serie di minacce di morte che l’hanno raggiunto fino a Dubai, è stato costretto a emigrare negli Stati Uniti d’America.
«Dover vivere in esilio è terribile», ha raccontato in un’intervista. Ma nessun rimpianto, ha poi specificato, invitando anzi i suoi colleghi calciatori ad essere «dalla parte giusta della storia» e a impegnarsi a fianco «del movimento Donna, Vita, Libertà» che combatte ogni giorno contro gli ayatollah. Ali Karimi ha sposato ora anche questa “battaglia”, contrastando la narrazione ostile allo Stato ebraico che impera a Teheran e condividendo questo suo messaggio con i suoi quasi due milioni di follower.
Il messaggio è diventato subito virale, con centinaia di migliaia di visualizzazioni. Chissà che tra loro non vi siano anche alcuni dei tifosi che in ottobre, poche ore dopo il pogrom compiuto da Hamas, fischiarono il gruppo terroristico palestinese in uno stadio della capitale. O quelli che hanno fatto lo stesso pochi giorni fa durante un minuto di silenzio tributato in un impianto in ricordo di Mohammad Reza Zahedi, il comandante delle Guardie della Rivoluzione ucciso a Damasco. Atti anch’essi di grande coraggio. A conferma del fatto che «Siamo l’Iran, non la Repubblica islamica» non lo pensa il solo Ali Karimi.