MEMORIA – A Torino la Varsavia di ieri riaffiora sotto quella di oggi
«Esattamente 125 anni fa, in reazione al caso Dreyfus, Èmile Zola ha lanciato il suo famoso ‘J’accuse!’. Questo grido sconvolse la Francia e in un certo senso anche l’Europa. Credo, sono profondamente convinto, che oggi da qua, da Varsavia, debba essere ripetuto questo appello. J’accuse…! Dobbiamo opporci all’antisemitismo, alla violazione dei diritti dell’uomo, all’aggressione dei vicini, alla falsificazione della storia, al mancato rispetto dell’interesse e della volontà della minoranza da parte della maggioranza al potere». Adrianna Siennicka, direttrice dell’Istituto Polacco di Roma, ha chiuso il suo intervento con queste parole, pronunciate dallo storico polacco e sopravvissuto alla Shoah Marian Turski nell’80esimo anniversario della rivolta nel Ghetto di Varsavia davanti al monumento che ne ricorda gli eroi. L’occasione era la proiezione del documentario di Eric Bednarski intitolato Varsavia, una città divisa, organizzata a Torino per l’81° anniversario della rivolta del Ghetto (iniziata il 19 aprile 1943) grazie alla collaborazione fra Comunità Ebraica di Torino, Istituto polacco di Roma, Consolato onorario di Polonia a Torino e Fondazione Salvemini. Il documentario, proiettato al Cinema Massimo, parte da pellicole scoperte solo nel 2004: sono circa dieci minuti, filmati tra marzo e novembre 1941 da Alfons Ziólkowski, e costituiscono le uniche riprese del Ghetto di Varsavia non girate per scopi propagandistici dai nazisti. Immagini a cui sono stati accostati altri documenti storici, riprese odierne e interviste a architetti e storici di architettura che raccontano l’evoluzione degli spazi, e la trasformazione della città e della Memoria. Un tram percorre la capitale polacca e commemora i suoi abitanti mentre il regista ripercorre la divisione della capitale, la creazione del Ghetto e lo sterminio perpetrato al suo interno, fino alla costruzione della nuova città dopo la guerra. Come ha ricordato Dario Disegni, presidente della Comunità, la topografia dell’odierna Varsavia nasconde tracce importanti del suo passato, che nel documentario prendono vita anche grazie ai racconti dei sopravvissuti. Il progetto urbanistico nazista di cancellazione e ripianificazione della capitale emerge in tutta la sua violenza. Grazie alle immagini girate nel 1941, però rivediamo tornano i palazzi e gli abitanti della città, sottratti all’occhio propagandistico nazista. Coordinata da Victoria Musiolek, la serata ha ospitato anche un intervento di Zuzanna Schnepf-Kolacz, studiosa di Polin, il Museo della storia degli ebrei polacchi di Varsavia. Schnepf-Kolacz ha ripercorso la storia del Ghetto, a partire dalla costruzione dei muri nel 1940. Il ritrovamento dell’archivio di Ringelblum, storico e fondatore del gruppo di attivisti “Oneg shabbat” dediti al recupero della storia del ghetto è stato fondamentale, al punto che il contenuto di quelle scatole di metallo è stato dichiarato patrimonio Unesco. Dopo la prima liquidazione del ghetto, che nel luglio del 1942 ha portato alla deportazione verso Treblinka di circa 280mila persone, dentro le mura erano rimasti prevalentemente i giovani, considerati adatti al lavoro. Non avevano illusioni e con la raggiunta consapevolezza della fine che li attendeva hanno iniziato immediatamente a prepararsi per la resistenza, che sarebbe poi stata guidata da Mordechai Anielewicz. Nel documentario le immagini del ghetto completamente distrutto si sovrappongono all’architettura attuale, il ricordo dei sopravvissuti si intreccia a luoghi oggi irriconoscibili, completamente trasformati. Altri scatti ritrovati recentemente integrano una narrazione serrata, che obbliga a rimettere in discussione il concetto stesso di memoria dei luoghi, e di Memoria. Quella parte di città che venne completamente rasa al suolo, distrutta insieme ai suoi abitanti è ora al centro di una operazione di recupero non solo architettonico ma anche storico che invece di affievolirsi nel tempo attrae di anno in anno sempre più partecipanti, a dimostrazione che il ricordo non è solo doveroso: è materia viva. a.t.