VENEZIA – I confini dell’alterità, l’arte protagonista nel cuore del Ghetto

Come ormai noto, per volontà delle due curatrici il padiglione israeliano alla Biennale di Venezia resterà chiuso al pubblico fin quando non sarà raggiunto un accordo sugli ostaggi nelle mani di Hamas e sul cessate il fuoco. In coincidenza con l’inaugurazione della 60esima esposizione internazionale aprirà intanto a partire da domenica “I confini dell’alterità / The Contours of Otherness”, una mostra d’arte contemporanea a cura del museo ebraico di Venezia con allestimenti in tre aree dell’antico ghetto (Spazio Ikona, Spazio Lab, Spazio Azzime) e alcuni artisti israeliani tra i protagonisti. Svelata stamane alla stampa, la mostra è curata dal direttrice del museo Marcella Ansaldi con la collaborazione di Jemma Elliott-Israelson e Avi Ifergan e porta l’attenzione sul tema del viaggio, perseguito o subito, e sulla crisi dell’identità culturale che ne può scaturire. Tra le opere in mostra c’è “A transferable safe space”, realizzata dall’artista israeliano Amit Berman dopo aver trascorso un periodo lontano dalla famiglia, dagli amici e dall’intimità domestica, in bilico tra «conservazione delle radici» e adattamento «a un nuovo contesto culturale». La sua connazionale Elisheva Revah propone invece una riflessione sulla Challah, il pane del Sabato, che in un video associa «alla migrazione, alla femminilità e al concetto di casa all’interno della diaspora». Mettere culture, sensibilità e conoscenze a confronto sul tema dell’alterità «ha prodotto una interessantissima esperienza artistica e umana», ha dichiarato Ansaldi nel presentare i tratti salienti di una mostra che è essa stessa un messaggio.

Calimani: Israele ed ebraismo sotto attacco, dobbiamo promuovere cultura

«Non c’è forse luogo, più del Ghetto di Venezia che possa indicare la strada della convivenza fra diversi», ha rilevato non a caso il presidente della Comunità ebraica veneziana Dario Calimani. «Costruitosi nel sospetto, ospitato con la diffidenza dedicata a ogni diversità, il Ghetto si offre oggi come spazio di accoglienza, uno spazio aperto che afferma il principio dell’ospitalità». La mostra, sottolinea Calimani con Pagine Ebraiche, «è inaugurata in un momento in cui Israele e l’ebraismo vengono messi in discussione in modo pretestuoso; ed è significativo che si tenga in questo quartiere, che fu luogo di segregazione e in cui emarginati da tanti luoghi hanno saputo sviluppare una convivenza tra di loro e con l’esterno, promuovendo vita e cultura». Sviluppare cultura è anche una missione del presente. «A novembre contiamo di chiudere i lavori di restauro al Museo ebraico e di poterlo riaprire, in quella circostanza, quasi per intero. Avrà un volto nuovo e sarà proiettato al futuro».

(Nell’immagine: Challah di Elisheva Revah)