ISRAELE – Il governo offre una tregua ma Hamas nicchia

Il futuro del conflitto a Gaza ormai da settimane è a un bivio. O verrà siglato un accordo con Hamas per il rilascio degli ostaggi e un cessate il fuoco temporaneo, oppure Tsahal entrerà a Rafah, ultimo bastione dei terroristi palestinesi nella Striscia. Secondo funzionari israeliani, intervistati dal quotidiano Yedioth Ahronoth, una delle due strade sarà presto imboccata. Questione di giorni, se non di ore. Nel mentre, Hamas prende tempo. Gerusalemme ha inviato un’altra proposta per una tregua di alcune settimane, ma il gruppo terrorista dà risposte evasive. Un suo uomo in Libano, Osama Hamdan, a una emittente locale ha dichiarato: «La nostra posizione sull’attuale documento negoziale è negativa, ma non significa che i negoziati si siano fermati».
Un ennesimo fallimento delle trattative potrebbe aprire la porta all’operazione a Rafah, da tempo annunciata dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Esito che il segretario di stato Usa Antony Blinken vorrebbe evitare a tutti i costi. Per Blinken, in visita in questi giorni nella regione, Israele sta dimostrando di voler fare «grandi compromessi» diplomatici per la liberazione degli ostaggi. Intervistato dal canale Nbc, ha definito l’attuale proposta «molto significativa». «Tutti concordano nel definirlo un buon accordo, che porterebbe, ancora una volta, a un cessate il fuoco immediato, che tutti vogliono, e al ritorno degli ostaggi, che tutti dovrebbero volere», ha concluso Blinken.
La proposta sarebbe divisa in due fasi: nella prima Hamas, in cambio di sei settimane di tregua e della scarcerazione di detenuti palestinesi, dovrebbe rilasciare 33 ostaggi, tra cui donne, anziani e malati. Nelle seconda fase, con il perdurare del cessate il fuoco per una quarantina di giorni, si arriverebbe alla liberazioni dei restanti prigionieri in vita e delle salme di chi è stato ucciso. Secondo l’esercito gli ostaggi sequestrati a Gaza il 7 ottobre sono attualmente 129. Di 34 Tsahal ha confermato la morte in prigionia. Nelle mani di Hamas ci sono anche le salme dei soldati israeliani caduti nel 2014, Oron Shaul e Hadar Goldin, e due civili israeliani, Avera Mengistu e Hisham al-Sayed, che si ritiene siano vivi dopo essere entrati nella Striscia di propria iniziativa nel 2014 e nel 2015.
Diversi ostaggi, secondo l’intelligence israeliana, sono imprigionati nei tunnel di Rafah, dove si nascondono anche i leader di Hamas. Una questione delicata di cui Tsahal deve tenere presente in caso di un’operazione militare. Oltre a pensare alla gestione delle centinaia di migliaia di civili palestinesi che hanno trovato rifugio in città. Gli Stati Uniti chiedono a Israele un piano di evacuazione per i profughi e diverse tendopoli sono state adibite in queste settimane in alcune aree fuori Rafah. «Serve un piano credibile di evacuazione e per mantenere costante il flusso di aiuti umanitari», ha dichiarato il segretario alla Difesa americano Lloyd Austin in un colloquio con il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant. Dall’altra parte, si legge in una nota del Pentagono, Austin ha ribadito «l’impegno degli Stati Uniti a sostenere la difesa di Israele».
Washington sta cercando di convincere il premier Netanyahu ad accettare anche una soluzione che preveda uno stato palestinese quando sarà finito il conflitto. Come contropartita, scrive la rivista Bloomberg, ci sarebbe la normalizzazione dei rapporti con l’Arabia Saudita. In cambio Riad otterrebbe un’ampia copertura militare dagli Stati Uniti e l’accesso al nucleare. Dentro il governo Netanyahu però ci sono molte resistenze. E lo stesso premier, riportano i media israeliani, avrebbe chiarito a Blinken di non essere disponibile al riconoscimento di uno stato palestinese. Intanto chi si è detto scettico sulla possibilità di riprendere il discorso dei due Stati per due popoli è il candidato repubblicano alla presidenza, Donald Trump. In una intervista al Time, Trump ha dichiarato: «Un tempo pensavo che due Stati potessero funzionare. Ora penso sia molto, molto difficile».