DAI GIORNALI DI OGGI
Bokertov 10 maggio 2024
Nuove divergenze tra Washington e Gerusalemme sulla gestione della guerra a Gaza. Il presidente degli Usa Joe Biden ha minacciato la sospensione dell’invio di armi nel caso in cui Israele decidesse di proseguire le operazioni a Rafah. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato l’intenzione di procedere a prescindere dal sostegno americano.
«Biden è in una guerra politica con Netanyahu, ma non è in guerra con Israele», dichiara il politologo Michael Walzer al Corriere della Sera. Per Walzer, l’inquilino della Casa Bianca «è appoggiato da un ampio numero di israeliani, inclusi diversi ex premier ed ex capi dello staff». Il tema è trattato anche in alcuni editoriali. Critica Fiamma Nirenstein (Il Giornale), secondo cui la posizione di Biden «incoraggia i nemici dell’Occidente». Nulla di fatto intanto dai negoziati. «La squadra dei negoziatori israeliani è tornata dal Cairo senza nuovi sviluppi», riporta La Stampa. «Hamas dice che l’operazione a Rafah ha bloccato i colloqui, mentre per Israele senza operazione a Rafah non c’è la giusta pressione su Hamas».
L’ex premier Ehud Olmert, intervistato da Avvenire, auspica l’uscita di Israele da Gaza: «È fondamentale che Israele si ritiri completamente dall’enclave e le sue forze siano sostituite da un contingente internazionale con il compito di ripristinare l’ordine e preparare il terreno per il passaggio di poteri alle forze dell’Anp». Al contempo, aggiunge Olmert, «Israele deve cominciare un negoziato con i palestinesi per trovare un accordo politico basato sulla soluzione dei due Stati».
«Quello che è successo il 7 ottobre dimostra la centralità della questione palestinese per la stabilità e la sicurezza dell’intero Medio Oriente», sottolinea a Repubblica il direttore del think tank Gulf Center di Riad Abdulaziz Sager. L’analista saudita afferma anche che «ogni possibile accordo fra l’Arabia Saudita e Israele simile ai Patti di Abramo oggi dipende dagli sviluppi di questa crisi».
Il Foglio traduce una lettera di oltre cinquecento studenti ebrei della Columbia University sull’antisemitismo strisciante nell’ateneo: «Siamo presi di mira per la nostra convinzione che Israele, la nostra patria ancestrale e religiosa, abbia il diritto di esistere. Siamo presi di mira da coloro che usano impropriamente la parola “sionista” come un insulto all’ebreo, sinonimo di razzista, oppressivo o genocida».
Il rettore dell’Università Statale di Milano ha deciso la definitiva cancellazione dal programma di incontri del convegno “Israele unica democrazia del Medio Oriente”, già rinviato una prima volta. Per Libero si tratta di una vittoria dei «fiancheggiatori del terzomondismo ideologico» e «dell’antisemitismo salottiero».