SHIRIM – «La speranza»

«Giunge l’inverno e l’albero rimane spoglio. In estate i suoi fiori si erano trasformati in frutti e sono stati colti. Cadono le foglie e l’albero rimane squallido, disadorno e solo, al freddo. Ma al primo calore, quando sembra che tutto sia finito, che il suo destino sia invecchiare e morire, appaiono i primi germogli e il miracolo si rinnova. Verdi gemme lo inondano di colore e il profumo dei suoi fiori inebria lo spirito e il prodigio avviene anche per gli alberi che erano stati tagliati o feriti, perché c’è sempre un virgulto, un getto che trova la via del risveglio (…)».

Queste righe di Angelica Edna Calò Livne costituiscono l’incipit dal suo saggio Com’è cambiata la speranza dopo il sette ottobre (in Aa.Vv. Come tutto è cambiato dopo il sette ottobre, a cura di F. Lucrezi, Napoli 2024). Immagino l’autrice sondare il proprio cuore, invocare parole che, tra tanto dolore, comunichino speranza. Le troverà parlando di un albero.
Chi ha avuto la benedizione di conoscere Angelica, anche solo di ascoltarla, sa che la poesia è in lei presente nello sguardo, prima ancora che nelle parole e nei gesti, come una fonte preziosa di acqua dolcissima, incastonata nelle profondità della terra. Un’acqua benefica che scende a valle tra i torrenti montani e trasforma, lenisce, consola. Così le parole di Angelica costruiscono, mettono in comunicazione, creano comunità.
Se il ciclo vitale di un albero può apparire, a un occhio poco interessato al mondo vegetale, poca cosa, un fatto comune, finanche banale, per Angelica che vive in Israele, nel Kibbutz Sasa, il legame con la terra è profondissimo. Sa che non è sempre facile capire quando un albero inizia davvero la sua parabola calante: a volte i segni sono invisibili, solo il giardiniere che nutre le piante con lo sguardo, prima ancora che con le sue mani, se ne rende conto.
Molte volte il tempo della vita di un essere umano non basta a contenere il ciclo vitale di un albero fino alla sua fine: coloro cui importa piantano, talvolta, un albero, per una nascita, per augurare al nuovo nato forza, buona salute, longevità tra i cicli delle stagioni del vivere.
Ed è proprio la rinascita dell’albero dopo la stagione invernale che l’ha reso nudo, senza fiori né foglie, a fare, agli occhi di Angelica, da tramite per consegnare al lettore una speranza nuova.
Come dal legno freddo conficcato nella terra, come dalla corteccia spenta in cui pare non scorra più linfa, come dai rami trafitti dalla luna un nuovo getto sorge senz’altro ed è già promessa di fiore, di frutto che potrà essere colto, mangiato e nutrire la vita, così la speranza ritorna, per la poetessa, come una gemma primaverile. Torna quando l’albero innocente è stato ferito o abbattuto.
Angelica raccoglieva le mele vermiglie all’ombra del mostro che lambiva le colline sul finire dell’ottobre 2023: di lì a poco, tenere fronde verde sangue, centinaia di gemme rosate avrebbero fatto capolino tra i rami, nuove radici sarebbero nate.
Mai divelte, che sempre saranno.

Shirim è a cura di Mariateresa Amabile, poetessa e docente di Diritti Antichi all’Università di Salerno