LA RIFLESSIONE – Davide Assael: Ecologismo monopolio propal?

Cosa unisce le battaglie ecologiche così care alla generazione Z, o a qualunque generazione siamo ormai arrivati, con il supporto alla causa palestinese? È la domanda che sorge spontanea dopo l’istantanea di Greta Thunberg, volto guida dell’ecologismo di questi anni, alla manifestazione pro-Palestina avvolta nella kefiah. Sarebbe assai semplicistico dire, come pure è stato fatto, che la preoccupazione fosse rivolta all’enorme inquinamento conseguenza dei bombardamenti israeliani. Il portale greenreport.it riporta che un nuovo studio «calcola che le emissioni derivanti dalla ricostruzione dei 100.000 edifici danneggiati di Gaza produrrà almeno 30 milioni di tonnellate di gas serra, quanto le emissioni annuali di CO2 della Nuova Zelanda e superiori a quelle di altri 135 Paesi e Territori, compresi Sri Lanka, Libano e Uruguay… Calcoli a cui bisogna aggiungere l’inquinamento prodotto dalle esplosioni dei lanci di razzi di Hamas e dallo stesso Iron Dome, strumento di difesa imprescindibile, ma costosissimo sotto ogni profilo, anche quello ambientale. Non parliamo poi dei danni al territorio, alle falde acquifere e chi più ne ha più ne metta. Ce n’è abbastanza per una posizione pacifista da parte dei movimenti a difesa dell’ambiente, ma non giustifica certo la kefiah usata come scialle. La relazione fra ecologismo e le manifestazioni antisraeliane a cui assistiamo in questi mesi è più complicata di così. Potremmo dire che in entrambi i casi si tratti delle ultime tappe di quell’universalismo europeo che, man mano, si è esteso dal mondo umano, a quello animale (vedere le riflessioni di Geremy Bentham che legano le prime istanze animaliste al percorso di avanzamento dei diritti caratteristico della modernità) ed infine all’ambiente intero. Il successo della teoria Gaia, che dipinge la Terra come un organismo vivente dotato di un respiro autonomo (di qui l’espressione “stiamo soffocando il pianeta”) è il tratto più rappresentativo di queste tendenze. Come ben noto, questo universalismo ha sempre avuto l’antigiudaismo come corollario necessario, con gli ebrei nel ruolo di coloro che vogliono restare separati, indifferenti all’ideale di una fratellanza universale che prescinde da ogni distinzione. La foto, che ha fatto il giro del web, appare, dunque come un ulteriore segno di quanto il conflitto a Gaza stia coagulando tratti ideologici solo apparentemente distanti, indicando Israele come fonte di ogni male: dalle stragi di bambini (certi toni ricordano l’immagine dell’ebreo che beve il sangue dei bimbi cristiani) alle conseguenze sull’ambiente. In fondo la prospettiva di Thunberg, non so quanto consapevole, ripropone antichi pensieri, di cui la scienza moderna è diretta erede, per cui il riconoscimento di vivere su uno stesso pianeta significa condividere uno stesso destino che oltrepassa le differenze politiche e culturali. Credendo, dunque, agli allarmanti dati sul riscaldamento globale, che continua a mietere nuovi record, anche spinto da questa fase di El Niño, capiamo che sarebbe il caso di elaborare una sorta di ecologismo ebraico, il cui punto di partenza non può che essere l’etica dell’abitare definita dall’Ordine Zeraim della Mishnà, dove la proprietà della terra è consegnata al Signore e tolta dalle mani dell’uomo. Anzitutto da quelle di movimenti politici come Hamas, che la pensano come un proprio feudo.

Davide Assael