ROMA – Yom HaZikaron, ambasciatore Bar: Non trovo le parole

In contemporanea con l’orario israeliano, la sirena di Yom HaZikaron è risuonata stamane nel cortile della scuola ebraica di Roma. Qui, ieri sera, l’ambasciatore d’Israele in Italia Alon Bar ha descritto il suo stato d’animo, in un Giorno del Ricordo diverso da tutti gli altri.
«Per molti anni ho parlato alle cerimonie di Yom HaZikaron per i caduti d’Israele. Quest’anno, davanti alle migliaia di nuovi nomi che si sono aggiunti all’elenco, mi mancano le parole», ha dichiarato Bar. Al suo fianco c’erano tra gli altri la presidente Ucei Noemi Di Segni, il presidente della Comunità ebraica Victor Fadlun, il rabbino capo Riccardo Di Segni, l’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede Raphael Schutz.
«Come possiamo dare parole al terribile dolore di migliaia di famiglie quando il numero delle persone uccise nell’ultimo anno è il più alto dai tempi della Guerra dello Yom Kippur?», si è chiesto Bar. «Come si possono onorare i caduti e portare la giusta solidarietà alle loro famiglie, ognuna delle quali rappresenta un mondo intero, quando ce ne sono migliaia? Più di 1.200 in un solo giorno, che non dimenticheremo mai. Come troveremo le parole giuste per esprimere il nostro senso di enorme fallimento come società e come paese per garantire una vita più sicura ai neonati, ai bambini, agli anziani, alle ragazze e ai ragazzi che escono per andare a ballare? E sì, anche ai nostri soldati». Israele troverà una via d’uscita «da questa situazione, di questo sono certo», ha detto Bar. «Ma oggi, in questo Yom HaZikaron, mi mancano le parole e rimangono solo una profonda tristezza e un grande, forte grido di dolore». Quest’anno «le parole “terrorismo” e “guerra”, “caduti” e “dispersi” hanno un significato ancora più lacerante», ha affermato nel suo discorso la presidente Ucei, ricordando che Israele «ha affrontato e affronta una guerra per difendere confini e cittadini, ma anche per affermare valori di libertà oltreconfine: noi qui ci adoperiamo per difendere l’esistenza del popolo ebraico e oltre il confine ebraico per la convivenza tra civiltà, in Italia e in Europa». Di Segni ha anche espresso l’abbraccio e la vicinanza dell’ebraismo italiano «alle famiglie degli sfollati, ai 132 ostaggi, ai feriti, ai caduti tutti, ai ragazzi e alle ragazze che rimarranno per sempre giovani, agli oltre cento giovani ebrei italiani, nati qui o in Israele, che si sono arruolati e partecipano al comune sforzo di difesa, alle donne al cui grido è seguito il silenzio». Così Fadlun: «I volti di chi è morto per Israele sono volti di ragazze e ragazzi, di donne e uomini che amavano la vita e hanno combattuto per custodirla e rigenerarla. Sta qui la differenza tra noi e quanti ci odiano. La differenza tra chi ama la vita ed è pronto a morire per la vita della propria famiglia – per la libertà, per la patria, per Israele – e chi esalta la morte, chi disprezza la felicità e la calpesta, chi è disposto a sacrificare la propria gente, chi è intriso di odio e ha lo sguardo rivolto indietro, al passato, a un odio che non ha fine»