LIBRI – L’antico cimitero ebraico al Lido, storia viva di Venezia
Il poeta romantico inglese Percy Bysshe Shelley passò gli ultimi quattro anni della sua vita in Italia. Nel suo Julian e Maddalo, poemetto scritto tra il 1818 e il 1819, Venezia è protagonista. Un luogo tra tanti catturò la sua attenzione, diventando meta prediletta: l’antico cimitero ebraico al Lido. O meglio, i due cimiteri: il nucleo originario (1389-1774) e quello più “moderno” (dal Settecento a oggi). «Un’ambientazione letteraria ideale per scene d’amore e morte», riconosce il presidente della Comunità ebraica veneziana Dario Calimani, che ha curato per Sillabe, in collaborazione con Opera Laboratori, il volume L’antico cimitero ebraico al Lido di Venezia. Testi e immagini del libro, presentato domenica scorsa in Comunità nella Sala Montefiore, descrivono uno spazio speciale nel territorio della Laguna, che affascinò tra gli altri personaggi come François-René de Chateaubriand, John Ruskin, Henry James e Benjamin Disraeli. Anche Primo Levi ne fu colpito; dopo una visita, scrisse: «Non si ha, o almeno non predomina, l’impressione del lutto. Il lutto è quello, recente e struggente, di chi ha perduto un familiare, una persona cara, che ha frequentato, di cui ricorda le fattezze, le abitudini, la voce. Qui il lutto è remoto, travolto dai secoli: prevale la sensazione della pace».
Calimani passa in rassegna alcune di queste frequentazioni intellettuali. Prima però di parlare del passato, ricorda che il cimitero del Lido non è solo una testimonianza storica, ma è anche al centro di un dialogo con un ebraismo ancora vivo e vivace, a differenza «di quanto accade tristemente in buona parte d’Europa in cui i cimiteri ebraici sono l’unica testimonianza del passaggio degli ebrei, cancellati dalle persecuzioni o dalla catastrofe estrema della Shoah». Uno dei testi pubblicati nel volume porta la firma di Aldo Izzo, un tempo comandante di una nave mercantile e oggi “custode” del cimitero, che ricorda l’opera per risanare il sito avviata alla fine del Novecento. L’area, racconta, «si presentava desolata e malsana: acque stagnanti, selva di canne palustri, nugoli di zanzare e rospi, centinaia di alberi morti e marcescenti, rovi e ramaglie ovunque, lapidi rovesciate e spezzate, altre sprofondate nel terreno o ricoperte di edera». Un paesaggio «da preromanticismo sepolcrale dell’abbandono», aggiunge Izzo. Le prime lapidi sepolte furono recuperate e la zona bonificata con 800 tonnellate di terra, riacquisendo così «dignità, decoro e il giusto rispetto per coloro che vi sono sepolti da secoli e che rappresentano a tutt’oggi un pezzo importante di storia».
Altri interventi sono firmati da Giovanni Levi e Umberto Fortis. Grazie al loro contributo vengono ripercorse le vicende e l’importanza del luogo, offrendo al lettore nuovi spunti di approfondimento, sia cronologici che letterari. «Sembra evidente che la visione del popolo ebraico cominci a modificarsi con il Romanticismo. Il popolo ebraico, reietto ed emarginato, chiuso nei ghetti, attira la simpatia degli autori romantici, con qualche eccezione naturalmente», spiega Calimani. Per i romantici gli ebrei erano «una delle nazioni con diritto all’affrancamento e al riconoscimento della propria umanità, come ogni altro cittadino, come ogni altro essere umano: un simbolo universale di aspirazione alla libertà e all’autodeterminazione».