SHIRIM – «Marzo»
Marzo ventoso/mese adolescente/marzo luminoso/marzo impenitente. /Marzo che fai tuoi giochi/con le nuvole in alto/ e con l’ombra e le luci/ dài mutevol risalto /alla terra stupita/ alla terra intorpidita,/ mentre dal seno le strappi/ e le primole e le rose/e fresc’acque rigogliose/lieto fai rigorgogliare./Ed il passero riscuoti/ con la tua folle ventata/ nella sua grondaia secca/ nella siepe denudata./ Spazzi i portici e le calli/ e la nebbia nelle valli /e la polvere degli avi/ e i propositi dei savi/ rompi e l’ombra delle chiese./ Ed il pavido borghese/ che nell’ossa porta il gelo / dell’inverno trapassato/ e col corpo imbarazzato/ geme il reuma ed il torpore,/che nel volto porta il velo/ della noia ed il pallore/ della diuturna morte,/ si rinchiude frettoloso/ si rinvoltola accidioso /e rincardina le porte…
I versi proposti appartengono al poeta Carlo Michelstaedter (Gorizia, 3 giugno 1887 – 17 ottobre 1910). La struggente bellezza dei testi si lega alla storia della sua vita, conclusasi troppo presto, tragicamente, all’età di ventitré anni. Pure in quei pochi anni, tuttavia, Carlo Michelstaedter seppe dedicarsi proficuamente alla poesia, alla prosa, alla filosofia, alla pittura, lasciando molte opere di valore e mostrando di possedere, in ciascun campo, una sensibilità fuori dal comune.
Lasciamo che il poeta ci guidi in questo antico Marzo. Proviamo a scordarci di quanto sappiamo e a incontrare il mese, come per la prima volta, attraverso i suoi occhi.
Marzo ventoso/mese adolescente/marzo luminoso/marzo impenitente
Eccoci risospinti al limitare dell’inverno. Sin da bambini abbiamo appreso l’imprevedibilità del tempo equinoziale, in bilico tra le amare gelate di Febbraio e fatue promesse di tepori d’Aprile. Marzo appare un fanciullo inquieto, smarrito tra idee e speranze confuse su ciò che avrà in animo e picchi di formidabile energia.
Marzo che fai tuoi giochi/con le nuvole in alto/ e con l’ombra e le luci/ dài mutevol risalto /alla terra stupita/ alla terra intorpidita,/ mentre dal seno le strappi/ e le primole e le rose/e fresc’acque rigogliose/lieto fai rigorgogliare.
Il mese crea, come un prestigiatore, giochi di ombre che sorprendono gli uomini e la terra con improvvisi lucori che colgono quest’ultima letargica, spenta. Il viandante di passaggio scorgerà con rinnovata sorpresa, tra i pendii boscosi o in aperta campagna, lievi fasci di primule diafane, come driadi sotterranee strappate alla zolla, ora disvelate, scalze nell’erba, là dove il cristallo di neve fa posto a un rivolo novello.
Ed il passero riscuoti/ con la tua folle ventata/ nella sua grondaia secca/ nella siepe denudata./ Spazzi i portici e le calli/ e la nebbia nelle valli /e la polvere degli avi/ e i propositi dei savi/ rompi e l’ombra delle chiese.
Il passero, la cinciallegra, la ghiandaia abbandonano il rifugio poco ospitale, arrendendosi al girotondo del vento nuovo, sognando il pane. Di buon mattino canterà l’allodola sulle umane cose, e i vicoli bui, i volti, gli altari costruiti dagli uomini saranno chiamati al risveglio. Svelerannosi gli usci dal gravame nebbioso, l’aria invernale immobile, senescente, sguscerà lontano, timorosa d’esser presa e riposta.
Ed il pavido borghese/ che nell’ossa porta il gelo / dell’inverno trapassato/ e col corpo imbarazzato/ geme il reuma ed il torpore,/che nel volto porta il velo/ della noia ed il pallore/ della diuturna morte,/ si rinchiude frettoloso/ si rinvoltola accidioso /e rincardina le porte.
L’opera lustrale del Marzo non incontra, tuttavia, buona disposizione in chi si sia molto accomodato nel calore artificioso d’una casa, in chi desideri sigillare gli usci e il cuore impedendo l’ingresso all’aria nuova. Il poeta non dimentica il pallore, il mogio equilibrio delle smorte giornate del tardo inverno o la luce crudele delle primavere incipienti, nate esauste, ove il gravame del vivere si riflette in squarci di cielo giallognolo, velato, come malato d’un sole che non splende, una luce che non nutre.
(testo e commento proseguiranno nel prossimo Shirim)
Shirim è a cura di Mariateresa Amabile, poetessa e docente di Diritti Antichi all’Università di Salerno