OLIMPIADI – Abdoul-Magid l’“israeliano” a Parigi in squadra rifugiati

Jamal Abdoul-Magid è arrivato in Israele nel 2010 per ricostruirsi una vita. Non aveva altre ambizioni se non lasciarsi alle spalle il Sudan e la sua violenza. Con sé, mentre attraversava a piedi il deserto del Sinai, portava il ricordo della sua famiglia e di suo padre, assassinato assieme a quasi tutto il villaggio sette anni prima da milizie locali. Non si aspettava il Jamal diciassettenne, solo e lontano dalla madre e dai fratelli, di trovare a Tel Aviv una passione che lo avrebbe portato fino alle Olimpiadi. E invece, convinto dagli amici a iscriversi a un club di atletica della Città Bianca, oggi il corridore trentenne Abdoul-Magid si appresta a partecipare per la seconda volta ai Giochi Olimpici. A Parigi 2024, come nell’edizione precedente a Tokyo, vestirà la maglia della squadra dei rifugiati per gareggiare nella specialità dei 5000 metri piani. Con lui ci sarà un altro «israeliano»: il corridore eritreo Tachlowini Melake. Entrambi hanno ottenuto da Israele lo status di rifugiati per motivi umanitari ed entrambi si allenano nei centri sportivi del paese.
«Jamal a Parigi correrà forte», promette il suo allenatore Yuval Carmi ai media locali. Dalla sua parte, così come dalla parte del collega Melake, si è schierato tutto il Comitato olimpico d’Israele. «Entrambi sono parte integrante della famiglia olimpica israeliana e ricevono il nostro pieno sostegno nei preparativi per Parigi 2024. Crediamo in loro, li amiamo e auguriamo loro ogni successo», ha dichiarato di recente il Comitato olimpico israeliano.
A Yedioth Ahronoth , Abdoul-Magid ha confermato il feeling con la squadra di atletica israeliana e con tutta la delegazione. «Nonostante appartenga alla squadra dei rifugiati, mi sono sentito parte del team israeliano durante le gare. L’atteggiamento della squadra nei miei confronti è ottimo».
A Parigi l’obiettivo è arrivare in finale, nonostante l’infortunio patito ai Campionati europei di atletica leggera di ottobre, dove si è classificato nono. «Credo in me stesso anche se la maggior parte dei partecipanti ha un tempo migliore del mio. Non dimentico che, insieme alla squadra dei rifugiati, rappresento anche Israele. Questo è il mio sogno. È grazie ai delegati sportivi di Israele, grazie al loro sostegno caloroso se sono arrivato fin qui».