A TAVOLA /1 – Carla Reschia: «Erbivoro è bello»

Isaac Bashevis Singer, in Shosha, descrive con estro espressionistico degno di George Grosz un caffè di Varsavia dei primi del Novecento: «Tutti i tavoli sembravano occupati. Vi si mangiavano le galline, le anatre, le oche e i tacchini che erano stati scannati poco tempo prima. (…) I ventri sporgevano, i colli erano tozzi e le teste calve brillavano come specchi. Le donne (…) ficcavano le unghie rosse nelle porzioni di pollo per le quali la forchetta non era sufficiente. (…) Il menu non offriva nessun piatto che non fosse a base di carne o di pesce, e io avevo appena fatto voto di diventare vegetariano». Il dettaglio è reale. Singer scelse il vegetarianesimo nel 1962. «Più volte ho pensato che per quanto riguarda il suo comportamento verso gli animali, ogni uomo è un nazista», fa dire a Joseph Shapiro, protagonista de Il penitente. L’autore non è l’unico a collegare la fede e l’etica con la scelta di non nutrirsi di animali. Nel racconto La coppia Sholem Aleychem racconta i sogni di una coppia assassinata alla vigilia di Pesach. La loro vicenda è narrata come se si trattasse di prigionieri innocenti in attesa di una sentenza e solo il finale svela che si tratta di oche da servire per cena. Della necessità di un principio etico nell’alimentazione scrive Jonathan Safran Foer in Se niente importa. Perché mangiamo gli animali?, un saggio con i dati sugli allevamenti intensivi in cui JSF racconta le riflessioni che lo hanno condotto a diventare vegetariano. Il titolo nasce da un dialogo con sua nonna, sopravvissuta all’Olocausto: «Il peggio arrivò verso la fine. Moltissime persone morirono proprio alla fine, e io non sapevo se avrei resistito un altro giorno. Un contadino, un russo, Dio lo benedica, vide in che stato ero, entrò in casa e ne uscì con un pezzo di carne per me”. «Ti salvò la vita». «Non lo mangiai (…)». «Perché non era kosher?». «Certo». «Ma neppure per salvarti la vita?». «Se niente importa, non c’è niente da salvare». Tra i sostenitori dell’idea che l’assenza del consumo di carne sia un valore centrale ebraico si distinguono due studiosi di epoche e contesti molto diversi: Rabbi Shlomo Ephraim Luntschitz, vissuto a Praga nel ’600, e Rabbi Abraham Isaac Kook, Rabbino Capo durante il Mandato britannico della Palestina. La tesi è che gli innumerevoli divieti, regole, restrizioni e distinguo che regolano il consumo di cibo animale, non ultimo l’imperativo di non causare sofferenza inutile alla bestia sacrificata, nascano proprio per scoraggiare la pratica. La stessa Torah lo conferma: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo», (Genesi 1,29). Su «i pesci del mare», gli uccelli del cielo, il bestiame, tutte le bestie selvatiche e tutti i rettili che strisciano sulla terra» si parla di dominio, non di metterli in pentola.
Carla Reschiaproprio alla fine, e io non sapevo se avrei resistito un altro giorno. Un contadino, un russo, Dio lo benedica, vide in che stato ero, entrò in casa e ne uscì con un pezzo di carne per me”. «Ti salvò la vita». «Non lo mangiai (…)». «Perché non era kosher?». «Certo». «Ma neppure per salvarti la vita?». «Se niente importa, non c’è niente da salvare». Tra i sostenitori dell’idea che l’assenza del consumo di carne sia un valore centrale ebraico si distinguono due studiosi di epoche e contesti molto diversi: Rabbi Shlomo Ephraim Luntschitz, vissuto a Praga nel ’600, e Rabbi Abraham Isaac Kook, Rabbino Capo durante il Mandato britannico della Palestina. La tesi è che gli innumerevoli divieti, regole, restrizioni e distinguo che regolano il consumo di cibo animale, non ultimo l’imperativo di non causare sofferenza inutile alla bestia sacrificata, nascano proprio per scoraggiare la pratica. La stessa Torah lo conferma: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo», (Genesi 1,29). Su «i pesci del mare», gli uccelli del cielo, il bestiame, tutte le bestie selvatiche e tutti i rettili che strisciano sulla terra» si parla di dominio, non di metterli in pentola.
Carla Reschia