TURCHIA – Ceki Hazan: Scuola chiusa, basso profilo
Smirne (in turco Izmir) è una tranquilla città sulla costa turca dell’Egeo. “È una città lenta, statica, con molti discorsi e poca azione. Qui è molto difficile che una discussione travalichi e si trasformi in violenza”, spiega a Pagine Ebraiche Ceki Hazan, membro della locale comunità ebraica. “Smirne si definisce moderna, ma non so se sia vero. È sicuramente più laica di Istanbul e, storicamente, antigovernativa. Qui si apprezza Ataturk, non i governi religiosi. Anche per questo gli ebrei hanno sempre ricevuto una buona accoglienza”.
Oggi la comunità ebraica, la cui origine è sefardita (figlia cioè degli ebrei cacciati da Spagna e Portogallo a partire dal 1492), conta circa 1.200 membri con un’età media tra i 55 e i 60 anni. “I miei coetanei, la generazione tra 20 e 35 anni, si è trasferita per lo più all’estero, in Israele o in Europa, grazie alla cittadinanza portoghese e spagnola”. A spingerli lontano da Smirne soprattutto le opportunità e una Turchia in crisi. L’antisemitismo ha inciso meno, anche se non mancano le preoccupazioni. La retorica del presidente Recep Tayyip Erdogan e di altri politici ha avvelenato molto il clima e il 7 ottobre ha peggiorato la situazione.
“In passato avevamo tre sinagoghe attive, ora per questioni di sicurezza solo una. Le persone non hanno paura di attacchi al tempio, ma di essere seguite a casa”. Si tratta più di un pericolo percepito però, perché “non abbiamo registrato nessun episodio violento di antisemitismo. Il dramma sono i media. Le televisioni sono impazzite contro Israele. E così i social. Così la paura diventa paranoia”.
A Smirne in ogni caso l’atmosfera è meno tossica. “Qui le critiche al governo ci sono, ma in generale ci si lamenta senza farsi sentire troppo”. Per gli ebrei turchi il basso profilo è una tradizione. “Kayedes, si dice in ladino (giudeo-spagnolo) dai tempi dell’Inquisizione: ‘facciamo silenzio’. Non attiriamo l’attenzione”.
Eppure Hazan è impegnato proprio a portare l’attenzione sulla Smirne ebraica. Lo ha fatto guidando il progetto Ue “Despertar Izmir” (Risvegliare Smirne). Un’iniziativa per riscoprire e valorizzare il patrimonio ebraico della città, costituito da dieci sinagoghe e una storia plurisecolare. “La scuola è chiusa da tempo e non abbiamo un rabbino. Sono un educatore e mi impegno nell’alfabetizzazione religiosa e culturale della comunità. Gli anziani dicono: ‘Tempo perso, siamo destinati a scomparire’. Li rispetto, ma non mi rassegno”. Per lui fornire strumenti come libri, documentari, articoli “per conoscere la nostra storia mantiene vivo il legame con Smirne: lo fa riscoprire a chi abita qui e riavvicina anche chi ha lasciato la Turchia”. In questo trova una sponda nella società locale. “Tra i non ebrei c’è un gruppo che pensa che l’unico modo in cui Smirne possa rimanere laica sia proteggere le altre comunità non musulmane, sia attraverso il lavoro sul patrimonio, sia attraverso concerti, mostre culturali. E questo è d’aiuto”. Non manca anche chi lo fa per reazione. “In Turchia abbiamo il problema dei rifugiati, molti arabi sono arrivati e stanno arrivando, e l’insofferenza nel paese cresce. Così c’è chi dice ‘basta immigrazione’, proteggiamo le comunità storiche, come gli ebrei. Perché? Perché siamo un gruppo minuscolo”.
(Nell’immagine un dettaglio della sinagoga Sinyora di Smirne)